Prima di entrare nel merito di questa arcana misura, l’ELA, tenuta quasi segreta dalla BCE e dalle banche centrali nazionali, vorrei ripetere quello che abbiamo scritto nelle ultime settimane. L’Italia, tra i grandi Paesi industriali dell’Occidente, è il Paese più colpito dalla crisi come si può vedere facilmente dai grafici seguenti.
La Germania e gli Stati Uniti sono tornati ai livelli di reddito pre-crisi già dal 2011. La Francia e l’Inghilterra ci torneranno presto. Noi, con le politiche attuali, se tutto va bene, tra 10 anni minimo. Nessuno può avere dubbi che siamo in una situazione di emergenza. Lo hanno ripetuto negli ultimi giorni sia il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco che ci ricorda come la disoccupazione sia tornata ai livelli degli anni Cinquanta, con un crollo mai visto nel dopoguerra della caduta dell’occupazione giovanile. Secondo Visco, i giovani che hanno tra i 15 e 24 anni e che lavorano sono scesi dal 61% del 2007 al 43% oggi e quelli tra i 24 e i 34 dal 74% al 66%. Il Presidente della Confindustria ripete giorno dopo giorno che è terrorizzato dalla crisi e aspetta proposte concrete quando incontrerà il premier Enrico Letta il 19 di febbraio. Chi volesse approfondire può andare qui.
La ricetta per uscire dalla crisi è condivisa da tutti, da Squinzi a Visco, dal Governo all’opposizione: lo strumento più idoneo per uscire dalla crisi senza precedenti in cui siamo sprofondati è una riduzione del cuneo fiscale per aumentare il reddito netto disponibile di chi lavora e allo stesso tempo ridurre il costo complessivo del lavoro per le imprese.
Ma dove si trovano i soldi?
“Si possono trovare queste risorse senza un mutamento della politica europea?” si chiede Eugenio Scalfari nell’editoriale di domenica scorsa… Mi piacerebbe ricevere la risposta a questa domanda da parte di Squinzi e della Camusso… né Squinzi né i suoi autorevoli colleghi industriali né la segreteria del maggior sindacato dei lavoratori indicano le coperture adeguate a rendere attuabili le loro proposte.”
Bene, la risposta è che si possono trovare queste risorse, ma dobbiamo fare noi italiani da apripista per strumenti di politica monetaria innovativa, non possiamo più aspettare che i pachidermi tecnocratici dell’Europa si muovano. Siamo contenti che la Corte Costituzionale tedesca, un anno e mezzo dopo la proposta di Draghi di attivare gli OMT (Outright Monetary Transactions) per salvare l’Euro si sia espressa dopo che la Bundesbank in modo assurdo gli aveva sparato addosso (leggi qui) e che la decisione sia stata rimandata alla Corte di Giustizia Europea. Ma possiamo aspettare le decisioni della Corte Europea che in media prendono 16 mesi? E poi attenzione! La Corte Costituzionale tedesca ha de facto affossato l’OMT. È vero che i togati rossi di Karlsruhe hanno rinviato la decisione alla Corte Europea, ma si sono espressi pesantemente sul merito dell’OMT. Per loro sembra che Draghi abbia fatto un colpo di Stato militare (o meglio monetario!) introducendo uno strumento che mina le basi democratiche del continente e che qualora fosse usato priverebbe il Parlamento tedesco delle sue prerogative. Anche se la Corte Europea dovesse dare ragione alla BCE, penso che l’OMT, mai usato peraltro, sia a tutti gli effetti morto.
A me sembra tutto assurdo. Noi, qualunque cosa ne pensino i tedeschi, dobbiamo agire oggi, questa settimana, non c’è più tempo da perdere, perché la crisi economica si sta trasformando in una grave crisi sociale con esiti che potrebbero essere disastrosi non solo per l’Italia ma per l’intera Europa.
Cosa fare? Noi proponiamo un’azione dirompente e che abbia tempi brevi: ricorrere allo strumento della Emergency Liquidity Assistance, previsto dall’articolo 14.4 dello Statuto del Sistema europeo di banche centrali, il cosiddetto SEBC, che consente alla banche centrali nazionali di stampare moneta in caso di emergenza. Ho detto noi perché questa idea non è solo mia. A partire dall’inizio del 2013 ci sono molti economisti che la propongono. Basta andare a ritrovare gli articoli in rete. Mio figlio Thomas la espone in modo molto articolato in un libro che uscirà il 20 febbraio in Inghilterra presso la Pluto Press dal titolo: The Battle for Europe e molti noti economisti sono d’accordo con lui (potete controllare su Amazon).
Partiamo da un primo punto. Tutti ormai sostengono che la BCE, al pari di quello che hanno fatto la Fed, la Banca d’Inghilterra e la Banca centrale giapponese non potrà sottrarsi nel 2014 dal fare operazioni di quantitative easing (QE) qualunque cosa dica la Corte Costituzionale tedesca. The Economist lo aveva già detto nel suo primo numero del 2014: questo sarà l’anno del QE in Europa e lo ha ripetuto nell’ultimo numero. Il tabù è stato rotto persino in Germania, dove Peter Bofinger, non uno sconosciuto, ma un membro del Consiglio degli esperti economici tedeschi, un economista keynesiano che pare in questi giorni sia ascoltato persino dalla Signora Merkel, ha scritto la settimana scorsa un articolo sul Financial Times in cui sostiene che è arrivato il tempo di fare QE anche in Europa (vedi qui).
A questo punto, si tratterebbe di decidere che tipo di QE dovrebbe fare la BCE. La premiata ditta Alesina-Giavazzi, dopo aver detto, tra tutti gli economisti che conosco, il maggior numero di corbellerie negli anni che vanno dal 2007 al 2013, sul Corriere della Sera di domenica predicano anche loro di far largo al QE, ma com’era naturale aspettarsi da due come loro prediligono un QE che aiuti soprattutto le banche. Cosa suggeriscono? La BCE dovrebbe procedere “acquistando dalle banche un po’ dei prestiti che esse hanno fatto alle imprese (possibilmente bad debts, ma questo loro non lo dicono, forse lo pensano): in questo modo alleggerirebbe i loro bilanci e farebbe ripartire il credito”. Ah! Ah! Ah! Ma in che mondo vivono Giavazzi e Alesina? Non sanno che banche come Banca Intesa fanno pagare tassi anche del 15% a piccole imprese sane a cui richiedono di rientrare dai loro modestissimi scoperti di conto corrente? Su richiesta da parte loro posso fornire i dati. Se oggi non ci fosse anche una miriade di piccolissime banche collegate con il territorio e che conoscono bene i loro clienti il numero di piccole imprese fallite sarebbe il doppio di quello che è stato. E Alesina e Giavazzi vorrebbero fare QE per dare i soldi a questi bankster? E poi, quale sarebbe l’impatto di questa manovra sulla domanda aggregata? Insegnando in prestigiosissime università, questo calcoletto dovrebbero esserselo fatto. Si rimane basiti leggendoli e ci si chiede perché il Corriere della Sera li faccia ancora scrivere in prima pagina. Non ha nulla di meglio?
Cerchiamo di vedere come è stato fatto il QE negli altri paesi e se ci sono alternative più efficaci.
La stampa di moneta nella forma del Quantitative Easing (QE) usato negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Giappone secondo noi non sarebbe la manovra migliore per la situazione italiana. La politica monetaria anglosassone e giapponese che mio figlio Thomas chiama conventional unconventional monetary policy è stata senz’altro meglio della politica usata dalla BCE (sempre da Thomas ribattezzata conventional conventional monetary policy) ma ha numerosi difetti, il più grave di tutti è quello di essere poco efficace nel rilanciare la domanda aggregata e allo stesso tempo di aumentare le diseguaglianze sociali. Il QE convenzionale ha “iniettato moneta ai frequentatori di Wall Street non di Main Street”, come hanno ben detto in un bell’articolo Biagio Bossone e Richard Wood (Bossone-Wood 2013). Per approfondire leggi qui.
La migliore politica monetaria per un Paese come l’Italia sarebbe quella di far ricorso a una politica monetaria di Overt Money Financing (OMF da non confondere con l’Outright Monetary Transactions, OMT, su cui la Corte Costituzionale tedesca si è espressa la settimana scorsa) definita dal giornalista e economista Anatole Kaleski quantitative easing for the people (QEP) e da Thomas unconventional unconventional monetary policy. Che cos’è l’OMF? Una manovra di politica monetaria in cui si bypassano le banche e si danno soldi freschi di stampa direttamente agli Stati. Al contrario di quello che pensano Alesina e Giavazzi non si dà liquidità alle banche nella speranza che poi queste la passino all’economia reale (cosa altamente improbabile, visto come si sono comportate in passato).
A sostenere che in una situazione come quella in cui si trovano alcuni Paesi della periferia europea la migliore politica sarebbe quella dell’OMF non sono solo grandi economisti del passato come Keynes, Irving Fisher, persino Milton Friedman, ma uno dei suoi più celebri sostenitori è oggi Ben Bernanke, oltre a decine di altri economisti e responsabili di istituzioni (soprattutto Adair Turner, vedi Turner, 2013).
Purtroppo, come Mario Draghi ripete spesso, finanziare direttamente gli Stati attraverso l’acquisto diretto di debito pubblico è vietato dall’art. 123 del Trattato di Lisbona che non consente alla BCE di finanziare direttamente gli Stati, ma come vedremo, un’operazione di Overt Money Financing fatta con lo strumento dell’ELA non va contro l’art. 123.
Cominciamo, però, a questo punto a capire cos’è l’ELA. Seguiremo l’ultimo regolamento a proposito pubblicato dalla BCE il 17 ottobre 2013. L’ELA, che ripetiamo è uno strumento di Emergenza, come dice bene il nome, consiste nel dare alle banche centrali nazionali il potere di stampare moneta senza che tale operazione rientri nel quadro della politica monetaria unitaria europea. Per la Banca d’Italia (e tutte le altre banche centrali) il potere di usare l’ELA non deriva dalla sua partecipazione al SEBC, il sistema europeo delle banche centrali, ma la decisione può essere presa indipendentemente e di propria iniziativa. Da un punto di vista legale, fino a poco tempo fa circolava in rete un documento (Buiter, Michels e Rahbari, ELA: An Emperor without clothes, gennaio 2011), ora scomparso, che sosteneva con una certa convinzione che le normative e le decisioni rispetto all’ELA dovrebbero essere prese dai Governi nazionali di concerto con le banche centrali nazionali. Non sono un giurista, ma sono sicuro che qualche Professore potrebbe approfondire rapidamente l’argomento.
Quello che è chiaro, tuttavia, è che l’articolo 14.4 dello Statuto del SEBC attribuisce al Consiglio direttivo della BCE la competenza di limitare le operazioni di ELA qualora valuti che esse interferiscano con gli obiettivi e i compiti dell’Eurosistema. Le decisioni al riguardo dell’ELA debbono essere adottate dal Consiglio direttivo della BCE a maggioranza dei due terzi.
Sottolineo questo concetto, poiché riteniamo che non solo oggi questa via debba essere seguita, ma è l’unica che potrebbe consentire alla BCE di raggiungere quelli che sono i suoi obiettivi statutari attuali (raggiungere un’inflazione del 2%) e non interferisce assolutamente con i suoi compiti, anzi fornisce uno strumento aggiuntivo che trae fuori la BCE dalla palude in cui è caduta e che lo stesso Draghi ha ripetuto anche la settimana scorsa. La politica monetaria non ha oggi più nessuna efficacia. Noi facciamo di tutto per incoraggiare le banche a fare prestiti, ma le banche non ci sentono, ha ripetuto per l’ennesima volta.
Qualche saputello potrebbe alzare la mano e dire: ma guarda che l’ELA non può essere usata per finanziare il Tesoro, ma solo le banche in difficoltà! Questo è vero. Poiché l’ELA è il più segreto degli strumenti finanziari, sono scarse le notizie sul suo uso. A livello aggregato, da quello che ho potuto scoprire, le operazioni di ELA non sono riportate nemmeno dalla BCE. Bisognerebbe andare a spulciare i bilanci di ogni singola Banca Centrale. Qualcosa però è trapelato. Un economista danese, Vistesen (2012) ha raccontato alcuni casi. Sembra che la prima a fare uso regolare e all’interno dell’interpretazione della BCE dell’ELA sia stata la Bundesbank per 42 miliardi di dollari per salvare la Hypo Real Estate nel 2008 e la Banca Centrale del Belgio nel 2009 (54 miliardi) per salvare Fortis Bank. Attenzione, però, perché ci sono degli strani precedenti. Sia l’Irlanda e la Grecia lo hanno usato nel periodo 2008-10 per compiti ben diversi. Da quello che racconta Vistesen, l’Irlanda e la Grecia hanno fatto un uso costante di questa possibilità per finanziare le esigenze immediate e improcrastinabili del Tesoro senza che fosse ben specificato verso quali banche i fondi fossero indirizzati.
Visti i tempi da lumaca della BCE (solo venerdì scorso, come sappiamo già detto, si è conclusa la tragicomica vicenda dei giudici rossi della Corte Costituzionale tedesca che avevano messo sotto accusa Draghi per aver salvato l’Euro) il Governo italiano non può però più aspettare nemmeno un minuto. Ha ragione il Presidente di Confindustria Squinzi quando sostiene che i provvedimenti del Governo sono pannicelli caldi, quisquilie, che non aiutano nessuno. È arrivato il momento, sia che rimanga Enrico Letta al Governo o arrivi Matteo Renzi, di cambiare marcia. La Emergency Liquidity Assistance può essere fatta questa settimana stessa. Se Letta volesse mettersi a correre potrebbe vararla già in settimana, potrebbe farlo il 14 febbraio, giorno di San Valentino, per sottolineare che questa volta il Governo fa sul serio e fa un bel regalo agli italiani.
Io proporrei una strategia di questo genere.
1) Alle ore 16.00 di venerdì 14 febbraio, la Banca d’Italia informa la BCE che ha deciso in modo del tutto indipendente di attivare un’ELA per 50 miliardi (poiché la BCE è a Francoforte, bisogna rispettare i regolamenti, e quello della BCE è chiaro: di regola le Banche Centrali nazionali debbono comunicare alla BCE i dettagli per gli importi approvati al più tardi entro due giorni lavorativi dopo lo svolgimento dell’operazione, ma per l’importo proposto dalla Banca d’Italia è necessario informare la BCE “anteriormente all’erogazione dell’assistenza che si intende concedere”).
2) Alle ore 17 mentre il Governo annuncia in conferenza stampa che ha approvato un decreto legge di due righe del seguente tenore: “il Governo italiano approva la riduzione del cuneo fiscale di 50 miliardi di euro. Il finanziamento avverrà attraverso lo strumento dell’Emergency Liquidity Assistence” la Banca d’Italia emette un comunicato stampa in cui comunica al Governo la sua disponibilità a finanziare un fiscal deficit attraverso l’acquisto di titoli del Tesoro emessi sotto la finestra dell’ELA.
3) La notizia rimbalzerebbe subito in tutto il mondo e nel weekend non si parlerebbe d’altro.
4) Il lunedì 17, credo, Draghi dovrebbe convocare d’urgenza il Consiglio direttivo della BCE. Sarebbe probabilmente la più importante riunione dalla nascita della BCE. Se approvato (e deve essere approvato, perché altrimenti scoppierebbe un caso incredibile) subito dopo la Banca d’Italia, il Governo e la BCE cominciano a discutere di come questi nuovi fondi debbano essere utilizzati. Sarebbe il Governo italiano stesso a chiedere una “condizionalità”, come d’altra parte è previsto nell’Outright Monetary Financing. Si stabilisce ex-ante come i soldi devono essere utilizzati. Di fatto, l’unica cosa da decidere rimane: quanti di questi soldi debbono andare ai lavoratori (e fino a quale reddito, 50.000euro?) e quanto per ridurre i costi delle imprese (abolizione dell’IRAP?).
5) Il Governo a questo punto dà istruzioni al Tesoro di emettere titoli di debito speciali non trasferibili che sarebbero acquistati dalla Banca d’Italia. La nuova moneta creata ex nihilo apparirebbe come una passività della Banca d’Italia che avrebbe al suo attivo un credito nei confronti dello Stato italiano.
6) I nuovi titoli dovrebbero essere a tasso zero e perpetui. La Banca d’Italia e il Governo dovrebbero chiarire che l’aumento di spesa pubblica non porta a nessun aumento di spesa per interessi e dunque tasse future più alte.
7) La BCE e la Banca d’Italia dovrebbero rimanere l’arbitro che decide quando sia ora di staccare la spina, o perché il tasso di inflazione ha raggiunto l’obiettivo previsto o perché ci sono altre problematiche.
8) E mercoledì 19 febbraio Enrico Letta può presentarsi all’incontro con il Presidente di Confindustria Squinzi non a mani vuote.
Se la Bundesbank, come è probabile, dovesse sostenere che questa terribile operazione porterà all’iperinflazione, la cosa meno improbabile al mondo, la risposta dovrebbe essere, non ovviamente dalla BCE, ma da tutti i cittadini italiani, un sonoro FU. Se non gli va bene che ci cacciassero.
Se il consiglio direttivo della BCE è composto da persone ragionevoli e da gentiluomini, Draghi non dovrebbe fare molta fatica a convincerli che l’interpretazione legale dell’ELA vada estesa non solo al caso delle banche in crisi, ma anche a uno Stato come l’Italia in profonda emergenza. E che il caso dell’Italia sia un caso di grandissima emergenza, che rischia di far crollare l’intero sistema dell’Euro, non può essere messo in discussione. Draghi potrebbe anche sollevare il precedente della Grecia e dell’Irlanda, quando lui non era a capo della BCE, ma credo che più che far ricorso a cavilli legali, Draghi avrebbe ottime armi per convincere i suoi colleghi (sempre che Draghi voglia convincerli, cosa che diamo per scontata).
Prima di tutto la manovra proposta dall’Italia non va contro l’art. 123 del Trattato di Lisbona, come hanno già scritto autorevoli economisti (vedi Bossone-Wood 2013). Cosa dice questo articolo? Che sono proibiti scoperti di conto corrente o ogni altro tipo di credito da parte della BCE o delle banche centrali nazionali nei confronti di istituzioni dell’Unione o di governi nazionali o regionali così come è vietato l’acquisto diretto di titoli di debito dei singoli Stati. Ma nel caso dell’operazione di ELA da parte della banca d’Italia non è stato attivato né uno scoperto di conto corrente nei confronti dello Stato italiano, né si sono acquistati strumenti di debito. È stato fatto un prestito a fondo perduto nell’interesse di un Paese che è al collasso. Prestito che non costa nulla alla Banca d’Italia poiché produrre moneta non costa nulla. Si tratta solo di battere alcune operazioni contabili di partita doppia al computer. Se poi un giorno lo Stato volesse restituire il prestito alla Banca d’Italia nulla osta, dovrebbe dipendere sempre dalle politiche. Ciò potrebbe avvenire qualora ci fosse un eccesso di liquidità. Ricordiamo anche che una Banca Centrale non può mai diventare illiquida e che potrebbe operare anche con un patrimonio netto negativo.
Secondo punto. Poiché, come ricorda bene il regolamento della BCE sugli ELA, qualsiasi costo e rischio derivante dalla concessione di ELA è supportato dalla Banca d’Italia, il Frankfurter Allgemeine, si spera almeno, potrebbe risparmiarci la solita tiritera delle formiche tedesche grandi lavoratrici che debbono mantenere i poltroni del Sud. Non c’è nessun rischio di mutualizzazione dei debiti perché sia i cittadini italiani che quelli tedeschi non dovranno incorrere in futuro a nessun aggravio degli interessi, né dovranno salvare nessuno.
Ma gli argomenti forti per Draghi dovrebbero essere squisitamente economici. Il primo è quello del pericolo di una deflazione, o comunque di un’inflazione molto più bassa di quella posta come obiettivo (2%). Potrebbe citare Keynes che sosteneva che l’inflazione ha effetti terrificanti, ma la deflazione è peggio. La deflazione porta a un circolo vizioso in cui la bassa domanda porta a una diminuzione ulteriore dei prezzi e dei salari e a una domanda ancora più bassa e a ulteriore disoccupazione. Inoltre, aumentando il valore reale del debito pubblico la deflazione (o comunque un’inflazione troppo bassa) rende quasi impossibile per un Paese come l’Italia rimborsarlo. Poi come noto una volta caduti in quello che gli economisti chiamano debt deflation non è facile venirne fuori, come il Giappone ci ricorda. Draghi potrebbe citare abbondantemente sia l’attuale capo del Fondo Monetario Internazionale, Christine Lagarde, che ha lanciato numerosi avvisi su quello che lei stessa ha chiamato l’orco della deflazione, sia l’ex governatore della Fed, Ben Bernanke, che da anni sostiene che nei casi come quello del Giappone e dell’Italia, la migliore via d’uscita è quella dell’OMF. Insomma a Draghi, nella sua sovrana indipendenza, argomenti non dovrebbero mancare per convincere i due terzi dei suoi colleghi che la via presa dall’Italia è la più efficace in assoluto per combattere la bassa inflazione e che offre la migliore ricetta per stimolare l’economia senza accrescere il debito pubblico. E, cosa ancora più importante, l’approvazione dell’ELA ridarebbe fiducia all’Europa. Sarebbe uno schiaffone per gli euroscettici.
Quasi sicuramente qualche testa di legno tedesca – Jens Weidman – di sicuro, potrebbe sollevare la tesi che così facendo la BCE è gestita “all’italiana”. E allora? La Banca d’Italia è sempre stata un caso di best practice in Europa e nel mondo. A chi non lo ricordasse, Draghi potrebbe rinfrescare loro la memoria sul fatto che quello che la Banca d’Italia sta proponendo non è certo una mostruosità ma che fino agli anni Ottanta era la norma. Sotto l’abile guida di governatori come Einaudi, Menichella, Carli e Baffi, tra il 1950 e il 1990, l’Italia non era andata male. Anzi! La mitica Germania, zeppa piena di gran lavoratori, era cresciuta del 4,05% in media, la Francia del 3,86% e – indovinate un po’ chi era il Fausto Coppi della situazione? – gli Stati Uniti direte – sbagliato! Il Coppi della situazione era l’Italia che nei quattro decenni era cresciuta ad una media del 4,36%. Poi nel 1981 avvenne il famoso divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro. La Banca d’Italia veniva sollevata dall’obbligo di comprare titoli di Stato alle aste, insomma il Governo non poteva più finanziarsi obbligando la Banca d’Italia ad acquistare titoli di stato alle aste alle condizioni di tasso di interesse che stabiliva lui.
Di fatto la Banca d’Italia smise allora di fare quello che ora Draghi dovrebbe chiedere ai suoi colleghi di fargli fare e che in futuro, speriamo, possa fare la BCE. Potrebbe anche ricordare che il debito pubblico all’epoca del divorzio nel 1981 era stabile al 60%, esattamente uguale al famoso obiettivo di Maastricht.
Semmai ci potremmo chiedere: cosa è successo in tutti questi anni? Perché il debito pubblico è cresciuto tanto? Qualunque cosa dovesse succedere dopo il giorno di San Valentino, polemiche, reazioni tedesche o quant’altro, per la prima volta da oltre 20 anni l’Italia riprenderebbe comunque l’iniziativa in Europa e le imprese e i cittadini comincerebbero a pensare che il Governo non li sta prendendo in giro.
Qualcuno dei famosi parlatori (the chatting class) che popolano le televisioni potrebbe inscenare la solita sceneggiata che così si viola l’indipendenza della Banca d’Italia. A parte il fatto che l’indipendenza non è certo una legge universale e che oggi sarebbe difficile sostenere che la Banca d’Inghilterra sia indipendente o che lo siano la Fed e la Banca centrale giapponese, bisogna anche ricordare che il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia avvenuto nel 1981 non ci ha portato fortuna. Comunque, detto questo, non crediamo che l’indipendenza della Banca d’Italia sia in pericolo. Il Governo dovrebbe proporre le misure che vuole adottare e la Banca d’Italia, fatte tutte le sue previsioni, l’ammontare che è disposta a finanziare. In questo caso la Banca Centrale, in assenza di azioni da parte della BCE, si prende cura di lavorare a stretto contatto con il Governo per sventare una pericolosa situazione di bassa inflazione che potrebbe presto diventare deflazione e un altissimo tasso di disoccupazione, compiti tradizionali delle banche centrali. Come hanno autorevolmente scritto due economisti (Mc Culley e Poznar, 2013): “Una maggiore cooperazione per un certo periodo di tempo tra una Banca Centrale e le autorità fiscali non è inconsistente con l’indipendenza della banca centrale, non più della cooperazione tra due nazioni diverse nel perseguimento di un unico obiettivo, senza per questo perdere la loro sovranità”.
Credo che una politica come quella che abbiamo sopra indicato sia veramente una politica monetaria non convenzionale o meglio, visti gli importi modesti, un quantitative easing all’amatriciana. Gli americani hanno stampato 1000 miliardi l’anno per rilanciare l’economia. I giapponesi stampano 70 miliardi di dollari al mese e vogliono aumentarne l’importo. Noi chiediamo solo di fare una modesta operazione pari a un ventesimo, molto meno del rapporto che intercorre tra l’economia americana quella giapponese e la nostra. Certo, per poter fare un’iniziativa di questo genere c’è bisogno di cambiare passo, c’è bisogno di coraggio. Ha Letta questo coraggio?
Elido Fazi