Marco Zatterin sul sito de La Stampa apre un interessante dibattito circa l’opportunità che un commissario europeo resti in carica anche dopo aver annunciato che parteciperà alle prossime elezioni europee come candidato. Lui sostiene di no, che dovrebbe dimettersi subito perché “nessuno abbia la possibilità di dire che una scelta o l’altra sono state concepite per fini politici e non tecnici”. Non sono d’accordo e mi prendo l’onore di discuterne con lui, da giornale a giornale.
Un commissario europeo è un politico, tranne rarissimi casi come quello del “tecnico professionista” Mario Monti (che alla fine un partito se lo è fatto, e forse è dunque il passaggio contrario a fa nascere dei dubbi di lealtà, ma questa è materia di altri dibattiti). Un commissario è un politico che non si spoglia della sua casacca durante il mandato. Diventa “europeo”, perde il passaporto nazionale, ma non perde la tessera di partito, tanto che i commissari (e anche il presidente della Commissione) partecipano regolarmente alle riunioni dei vertici delle famiglie politiche alle quali appartengono. Anche prima dei Consigli europei, rendendo in qualche modo esplicito che il loro agire è influenzato dalle discussioni che fanno con i capi dei governi del loro partito. Di più, le regole della Commissione prevedono che, dopo il voto di maggio, i commissari autosospesi e candidati che poi risultano eletti, tornino al loro posto al Berlaymont sino alla prima riunione del Parlamento, quando diventano formalmente deputati europei.
L’agire nella legislatura non è dunque solo istituzionale, ma è anche puramente politico,ed è accetto e riconosciuto che lo sia. E’ anche giusto che sia così, come elettore voglio che sia così, voglio che i commissari che appartengono al partito al quale faccio riferimento (se ce ne sono) rappresentino i miei ideali. Poi ci sono gli altri commissari che esercitano il “controllo democratico” sui colleghi. Ogni atto importante di un membro della Commissione deve essere discusso dal collegio, dove sono rappresentate più famiglie politiche, che, soprattutto in questi mesi, si controllano molto strettamente a vicenda.
Che un commissario si “autosospenda” quatto o cinque mesi prima del voto mi sembra una cautela che non ha ragion d’essere, vorrei dire, sarebbe anche un gesto di sfiducia verso i funzionari europei che per lui lavorano, il cui operare certamente non può essere influenzato, quello no, dal credo politico.
Lorenzo Robustelli