Il ministro degli Esteri ai colleghi a Bruxelles: “Se a due anni dai fatti l’India non è in grado di stabilire un capo d’accusa indubbiamente c’è una violazione di qualunque idea di giustizia”
La vicenda dei due marò italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, diventa un caso europeo. La questione ormai ha assunto dimensioni e connotazioni tali da non poter essere lasciata solo ai governi dei due Paesi interessati, perché il comportamento tenuto a Nuova Delhi rischia di creare un precedente pericoloso per tutti. “Se a due anni dai fatti non si è in grado di stabilire un capo d’accusa indubbiamente c’è una violazione di qualunque idea di giustizia”. Un concetto espresso da Emma Bonino ai colleghi europei in occasione della riunione del consiglio Affari esteri. La responsabile della Farnesina è indispettita da come gli indiani stanno gestendo la vicenda: la situazione così davvero non va. “Qualcosa non torna”. E non solo a Roma. “Due anni per arrivare a un capo d’imputazione è un qualcosa che ha colpito anche i colleghi”.
Ai tempi lunghi necessari per giungere a un’accusa si aggiunge il rischio che l’attuale legge indiana sulla pirateria “inverta il carico della prova”, e questo “è un elemento inaccettabile dal punto di vista dell’affidabilità di un sistema giudiziario”, e quindi di un Paese. Bonino ha posto la questione al termine della sessione dei lavori, inserendo il tema tra gli ultimi punti (alla voce “varie ed eventuali”). L’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue, Catherine Ashton, “ha confermato il suo interessamento alla vicenda e sottolineato la fondatezza della nostra posizione”. L’Italia torna a casa da Bruxelles con delle carte in più da poter giocare: come precisa Bonino, “tutte le opzioni sono sul tappeto, comprese quelle di pertinenza più specifica dell’Unione europea”. Cosa abbiano in mente l’Italia e l’Europa non è tempo di dirlo. “Preferisco tenerle per me le mie carte”. In attesa di giocarle, o auspicabilmente no.
Renato Giannetti
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