L’accordo politico concluso ieri notte dall’Ecofin a Bruxelles sul nuovo meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie nell’Eurozona getta le fondamenta del secondo pilastro dell’unione bancaria, dopo la creazione del sistema unico di sorveglianza per gli istituti di credito, che sarà affidato alla Bce ed entrerà in vigore nel novembre 2014.
Il meccanismo unico di risoluzione mira a gestire in modo ordinato e controllato l’eventuale fallimento delle banche, senza che vi sia un impatto sulle finanze degli Stati. In questo modo, i contribuenti non sono più coinvolti nelle perdite del settore privato (l’obiettivo più importante per la Germania), e si spezza il circolo vizioso per cui le crisi bancarie alimentano la crisi del debito sovrano (a causa dei salvataggi pubblici delle banche), che a sua volta aggrava la situazione delle banche (perché riduce il valore dei titoli di Stato che detengono come attivi patrimoniali). Un fenomeno, questo, che ha colpito soprattutto la Spagna e l’Irlanda (per gli errori delle banche) e l’Italia (come conseguena dell’impennata degli spread).
L’accordo di ieri consiste di tre elementi. Innanzitutto, un regolamento comunitario che istituisce un’Autorità unica di risoluzione per le crisi bancarie, composto da due organismi decisionali: un Board esecutivo con un direttore e quattro membri permanenti e un organismo più largo (la “sessione plenaria”) in cui, oltre ai cinque membri permanenti del board, siederanno i rappresentanti di ogni autorità di risoluzione nazionale dei singoli paesi partecipanti (tutti quelli dell’Eurozona, più gli altri dell’Ue che lo chiederanno). Se una banca rischia di fallire, il Board prepara uno “schema di risoluzione” e decide se liquidarla, ricapitalizzarla, ristrutturarla o ridimensionarla. Le decisioni del Board entrano in vigore entro 24 ore, a meno che non vi siano obiezioni da parte della Commissione europea, appoggiate dalla maggioranza semplice del Consiglio Ue.
In secondo luogo, una bozza di accordo intergovernativo, che sarà trasformato in trattato internazionale e ratificato da tutti i paesi partecipanti, che riguarda le modalità di partecipazione degli Stati, i meccanismi decisionali e quelli di mutualizzazione del Fondo unico di risoluzione. Il Fondo unico, finanziato da prelievi sulle banche, a regime disporrà di 55 miliardi di euro, ma sarà “costruito” progressivamente in un periodo di transizione di 10 anni, attraverso la mutualizzazione graduale dei singoli fondi di risoluzione (chiamati “compartimenti nazionali”) di ciascun paese partecipante. Il Fondo servirà a finanziare i costi di ristrutturazione o di liquidazione delle banche messe in risoluzione.
Il terzo elemento dell’accordo è una “dichiarazione” sottoscritta dai ministri finanziari su una comune “rete di sicurezza”, o “paracadute finanziario” comune (“backstop”), che garantisca, anticipandola con “prestiti ponte” finanziati o garantiti con denaro pubblico, la liquidità necessaria alla risoluzione di eventuali crisi bancarie, nel caso in cui non siano sufficienti le risorse del Fondo unico di risoluzione, o dei suoi “compartimenti nazionali” nella fase di transizione. In quest’ultimo caso, i prestiti saranno restituiti, a termine, dallo stesso sistema bancario. Il “backstop” comune consisterà probabilmente nella creazione di un Fondo o un “veicolo finanziario”, sulla falsariga del Fondo salva-Stati già esistente (Esm). A meno che non si riesca a utilizzare a questo scopo lo stesso Esm, superando le reticenze tedesche, già ampiamente sperimentate nel tentativo, finora fallito, di usarlo per la ricapitalizzazione “diretta” delle banche.
La parte dell’accordo sul “backstop” pubblico, la più ambigua e meno precisamente definita, va letta insieme a una clausola dedicata all’esigenza costituzionale tedesca di non impegnare i soldi dei contribuenti senza l’autorizzazione del parlamento nazionale: “Per garantire la sovranità di bilancio degli Stati membri, la bozza di regolamento – si legge nella clausola – proibisce decisioni che richiederebbero a uno Stato membro di fornire un sostegno pubblico straordinario senza la sua previa approvazione secondo le procedure nazionali di bilancio”.
I tre elementi dell’accordo dovranno adesso essere elaborati sottoforma di testi formali: un regolamento legislativo (che dovrebbe arrivare a 200 pagine) con tutti i dettagli tecnici sul meccanismo, l’Autorità unica e il Fondo di risoluzione, che dovrà essere approvato anche dal Parlamento europeo, possibilmente prima della fine della legislatura, nell’aprile 2014; il nuovo trattato intergovernativo, da negoziare e definire “entro il primo marzo 2014″, con le modalità di mutualizzazione dei fondi nazionali, i meccanismi decisionali per l’esborso e il funzionamento del Fondo unico; e qualcosa, non si sa bene ancora che cosa, che dia forma alla dichiarazione sul “backstop” comune, importante soprattutto all’inizio della fase di transizione. Quest’ultimo elemento potrebbe essere un “left over” non facile da gestire per la presidenza di turno italiana dell’Ue, che comincia a luglio 2014.
Il meccanismo di risoluzione unico riguarderà le 130 banche più grandi dell’Eurozona e degli altri paesi Ue partecipanti, che saranno sottoposte alla supervisione diretta del Meccanismo unico di sorveglianza costituito presso la Bce, più tutte le banche transfrontaliere, di qualunque dimensione, e qualunque altro istituto di credito che chieda accesso al Fondo unico di risoluzione. Il meccansimo entrerà in vigore ufficialmente il primo gennaio 2015, ma sarà applicato realmente solo dopo che sarà entrato in vigore l’accordo intergovernativo sul Fondo unico.