Sarà l’Opac a individuare lo scalo più adatto alle operazioni di trasbordo, nella seconda metà di gennaio. Bonino: sarà valutata anche “distanza da centri abitati”
Prima di essere distrutte, le armi chimiche siriane transiteranno dal porto di una città italiana. Non si tratterà di un semplice passaggio: quella che il nostro Paese ha messo a disposizione è una vera base operativa in cui le sostanze, che arriveranno stivate su navi danesi e norvegesi, saranno trasferite sulla nave statunitense Cape Ray, attrezzata per la distruzione in mare aperto.
Le operazioni di trasbordo delle circa 500 tonnellate di sostanze (componenti per la produzione di armi chimiche, ancora separate tra loro) non potranno avvenire in nessuno dei nostri porti militari, troppo piccoli per lo scopo. Per questo dovrà essere identificato un porto civile adatto.
Scegliere quale sarà compito dell’Opac, Organizzazione per la distruzione delle armi chimiche, ha spiegato il ministro degli esteri italiano, Emma Bonino, a Bruxelles per il Consiglio Affari esteri. L’Organizzazione dovrà valutare diversi elementi: “Pescaggio, capienza del porto, vicinanza o meno da centri abitati” e ha già “confermato la disponibilità ad esporre le modalità tecniche dell’operazione al Parlamento italiano, alla ripresa delle attività a gennaio”.
Secondo la responsabile della Farnesina, le operazioni di trasbordo dureranno circa 24-48 ore e si dovrebbero svolgere verso la seconda metà di gennaio. Prima c’è da risolvere il “difficile” punto della sicurezza del trasporto terrestre delle armi da Homs fino al porto siriano di Latakia. Solo poi si potrà pensare al trasferimento in un Paese terzo. Si era inizialmente parlato dell’Albania, ma dopo una serie di proteste popolari e problemi di politica interna, il Paese ha negato la sua disponibilità. Così la palla è passata all’Italia che si è invece offerta di collaborare nel quadro della propria partecipazione alla conferenza “Ginevra 2” sulla guerra civile in Siria.
Letizia Pascale