L’EUROPA, O SARÀ DEMOCRATICA O NON SARÀ
Si racconta che quando il leader socialista Pietro Nenni, ultrasettantenne, entrò per la prima volta nella stanza dei bottoni del governo nel 1963 si accorse che non c’erano i bottoni. Eppure, allora, l’Italia conservava la sovranità su molte materie su cui ora non la esercita più. Supponiamo ora che Matteo Renzi vinca le prossime elezioni politiche con la stessa maggioranza con cui ha vinto le primarie del Partito Democratico e facendo della lotta alla disoccupazione la sua bandiera. Entrato nel palazzo del governo, però, si accorgerebbe che non solo non ci sono più i bottoni, ma l’intera stanza dei bottoni è scomparsa. Il trattato di Maastricht affidava agli Stati nazionali il compito di perseguire politiche economiche nazionali. Ma, regolamento dopo regolamento, direttiva dopo direttiva, secondo l’ex ministro oggi ultranovantenne Giuseppe Guarino in modo addirittura illegale, questo potere è stato sottratto alle sovranità nazionali. Cosa potrebbe fare il futuro premier Renzi per rilanciare la crescita e l’occupazione se invece di avere poteri (di intraprendere azioni appropriate di politica economica) gli rimangono solo doveri, in particolare, secondo il Fiscal Compact, quello di portare il bilancio dello Stato in pareggio nel medio termine? Come potrebbe pensare di stimolare la crescita con politiche espansive se queste gli sono vietate? A quali altre politiche può far ricorso?
Insomma, per quanto riguarda la democrazia, l’Europa o sarà democratica o non sarà, come sostiene in un libro di prossima uscita in Italia, Il gigante incatenato: ultima opportunità per l’Europa?, il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz. I partiti nazionali che dovrebbero consentire ai cittadini di concorrere in modo democratico alla definizione delle politiche del proprio paese sono ormai stati svuotati di ogni prerogativa. Se non si riaggregano a livello europeo per cercare di influenzare le politiche dell’Eurozona, che sono oggi imposte dal paese egemone, la Germania, si ridurranno a bande di gruppi in lotta tra loro per un potere che non esiste più.
Ormai, quello che è fatto è fatto e non mi sembra possibile tornare indietro a ridiscutere il Fiscal Compact, come alcuni pensano. Bisogna per forza di cose andare avanti e riappropriarsi della Politica con la P maiuscola a livello sovranazionale. Poiché il succo di un sistema democratico è che i cittadini possano esprimere il loro parere sulle politiche e gli orientamenti che incidono pesantemente sulla loro vita e che chi governa attui il programma per cui i cittadini lo hanno eletto, è necessario che i cittadini europei possano scegliere un loro governo. Angela Merkel ha vinto le elezioni tedesche, non quelle europee. Se è convinta che le politiche di austerità funzionino in Germania, poiché gli elettori lì l’hanno premiata, le applichi al suo paese, ma non può imporle a tutta l’Europa.
Quindi, insieme alle politiche adatte a combattere la disoccupazione e la deflazione che abbiamo discusso nella prima parte di questo manifesto, la sinistra europea si deve porre un altro problema ormai ineludibile. Esclusa la possibilità di reimpatriare sovranità agli Stati nazionali (opzione non praticabile oltre che non desiderata da molti), come possiamo riappropriarci dei nostri diritti democratici in Europa? Come possiamo rifondare la democrazia europea al tempo della globalizzazione?
In tutti i paesi democratici vige la regola della separazione dei poteri tra legislativo, esecutivo e giudiziario. Perché oggi non possiamo avere qualcosa di simile in Europa? Paradossalmente se l’Unione Europea facesse oggi domanda di adesione all’Unione Europea correrebbe il rischio di essere bocciata per mancanza di legittimità democratica. Chi svolge oggi il ruolo di governo europeo? In apparenza sembra essere la Commissione, che ha il diritto di iniziativa legislativa, ovvero di proporre direttive e regolamenti. Ma sappiamo tutti che il vero governo dell’Europa è oggi il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo dominato da Angela Merkel. Pensate alla Machtfrau e poi al presidente della Commissione Barroso, alla loro autorevolezza, e tutto diventa più chiaro. Come dice il grande filosofo tedesco Jurgen Habermas: «Questa specie di federalismo esecutivo di un Consiglio europeo autoinvestitosi di autorità sarebbe il modello di un esercizio postdemocratico del potere».
Il Parlamento europeo, l’unico organo eletto direttamente dal popolo, non ha oggi quasi nessun potere. Che parlamento è un parlamento che non ha il diritto di iniziativa legislativa? Gli oltre settecentocinquanta ben pagati europarlamentari dei ventotto paesi membri non hanno nemmeno la possibilità di presentare una loro proposta di legge. Eppure una comunità che vogliamo chiamare democratica dovrebbe vivere del dibattito pubblico e della discussione che avviene in prima battuta in parlamento e poi nei vari media, e oggi principalmente nei blog online. In quale altro luogo dovremmo discutere delle politiche più appropriate per combattere il problema più scottante di oggi, quello della disoccupazione? Perché il Parlamento non può liberamente discutere se le politiche più appropriate sono le politiche monetarie espansive portate avanti da Obama e dalla FED piuttosto che le politiche di austerità su cui si sono incaponiti i tedeschi? Perché dobbiamo prendere per vera l’Angela-analogia che i governi nazionali debbono comportarsi come si comporta un buon padre di famiglia, quando tutti sappiamo che quest’ipotesi di partenza è falsa? Una famiglia deve possedere il denaro prima di spenderlo, un governo no! Un governo la moneta se la può autoprodurre.
Quindi, in questo campo cruciale per il futuro dell’Europa, la sinistra deve proporre un sano adeguamento al modello della divisione dei poteri. Non solo la Commissione deve accogliere le proposte di legge del Parlamento quando queste sono approvate a maggioranza, ma deve essere il Parlamento a poter scegliere il governo europeo ed eventualmente destituirlo. Come dice Martin Schulz: «Questa chiarezza istituzionale non solo renderebbe i processi politici dell’EU più comprensibili agli occhi dei cittadini, ma gli stessi processi sarebbero più trasparenti, più democratici e più efficaci. È ora di farla finita con gli ‘inciuci’!».
Cosa dovrebbe diventare il Consiglio europeo che oggi fa il bello e il cattivo tempo e si comporta come se fosse lui il vero governo europeo? La sinistra non dovrebbe fare altro in questo caso che rispolverare il vecchio trattato che Altiero Spinelli era riuscito a far approvare al Parlamento europeo nel 1985, in cui il potere del Consiglio europeo veniva ridimensionato, diventando quest’ultimo una sorta di Senato. I vertici intergovernativi di oggi dovrebbero diventare incontri a cadenza regolare della seconda camera del Parlamento.
D’altra parte il progetto Spinelli non faceva altro che riprendere la struttura parlamentare della Germania, un luogo in cui sia gli interessi degli Stati (rappresentati nel Bundesrat, in cui siedono gli esponenti dei singoli Länder) che quelli dei cittadini (rappresentati nel Bundestag) sarebbero equamente rappresentati. Non è un caso che il Bundestag in un primo momento abbia approvato il trattato Spinelli, che fu poi depotenziato nel trattato sul Single Market del 1985.
Non sarà una battaglia facile per la sinistra. Primo, perché i capi di governo che si riuniscono all’interno del Consiglio europeo, in particolare la Germania, non sembrano avere nessuna intenzione di rinunciare ai loro privilegi, comandare senza averne il diritto istituzionale e in barba al trattato di Lisbona, che dice chiaramente che il Consiglio «si riunisce in seduta pubblica quando delibera e vota su un progetto di atto legislativo». Le sedute del Consiglio sono oggi le più segrete del mondo. Forse non esiste la famosa stanza dei bottoni che così tanto deluse Nenni, ma sarebbe un gran bene per i cittadini europei se essi potessero capire chi decide cosa all’interno del Consiglio europeo o dell’Ecofin, il Consiglio dei ministri delle Finanze dell’Eurozona. Che alcune iniziative, come quella del Fiscal Compact, di enorme importanza per tanti paesi vengano prese nell’oscurità non contribuisce certo a rendere l’Europa simpatica. Ad esempio, chi ha avuto la brillante idea non solo di imporre il Fiscal Compact (che secondo alcuni giuristi è giuridicamente una forzatura perché non tiene bene in conto gli art. 104c del trattato sull’Unione Europea e 126 del trattato di Lisbona, che lasciavano le decisioni di politica economica, entro certi limiti, agli Stati nazionali) ma di fare in modo, per paura di non avere i voti necessari per modificare gli attuali trattati, di aggirare l’ostacolo con un trattato non europeo, ma di diritto internazionale? Chi vuole che l’opinione pubblica europea rimanga all’oscuro su chi propone cosa?
La sinistra dovrebbe fare una richiesta che sicuramente piacerebbe anche ai grillini. Le riunioni del Consiglio europeo dovrebbero essere totalmente trasparenti e trasmesse in streaming. Che democrazia può esistere se l’opinione pubblica non è in grado di prendere parte ai dibattiti? Se un cittadino comune ben informato non può dire cosa pensa poiché non gli sono chiare quali sono le alternative politiche in campo?
La sinistra italiana ha molto da farsi perdonare in questo campo. È stato uno scandalo che i cittadini si siano ritrovati con un governo tecnocratico e i dirigenti eletti del Partito Democratico non siano stati in grado di spiegare ai cittadini che non c’era solo il diktat tedesco sull’austerità. Soprattutto perché nello stesso tempo, negli Stati Uniti, la sinistra democratica stava svolgendo il più interessante esperimento di politiche keynesiane espansive dai tempi della Grande Depressione degli anni Trenta, mentre la sinistra ha ingoiato, senza batter ciglio, politiche à la Hoover, il presidente americano precedente a Roosevelt.
Fosse solo per questo, per farsi perdonare peccati non suoi, ma dei suoi predecessori, oggi bisogna spronare Matteo Renzi a mettersi a capo di una sinistra riformista europea che sia chiara e incisiva. Speravamo che il presidente francese Hollande potesse svolgere questo ruolo. Ma ci eravamo sbagliati.
Alle prossime elezioni europee, il Parlamento, forte dell’art. 17 del trattato di Lisbona, che nel par. 7 dice:
«Tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione. Tale candidato è eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei membri che lo compongono»,
vorrebbe politicizzare le elezioni europee, facendo in modo che ognuna delle famiglie politiche operanti all’interno del Parlamento presenti un suo candidato alla presidenza della Commissione. I candidati ad oggi sembrano essere il tedesco Martin Schulz per il PSE, il greco Alexis Tsipras per la sinistra europea, il finlandese Olli Rehn per i liberali e il francese Michel Barnier per i democristiani. L’idea è quella di far sembrare le elezioni europee sempre più simili a quelle nazionali. Il candidato che prende più voti viene automaticamente eletto presidente della Commissione. Ma Angela Merkel e Peter Cameron hanno già fatto sapere che non apprezzano molto questa idea. Il prossimo presidente della Commissione lo vorrebbero nominare loro, a porte chiuse, e gli piacerebbe probabilmente che fosse una figura debole come lo è stato Barroso (che, non a caso, era stato voluto soprattutto dagli inglesi e dai tedeschi).
Elido Fazi