L’Ue vorrebbe regole e un fondo di intervento comune in caso di problemi negli istituti finanziari
Il ministro Saccomanni: “La Germania frena per paura di dover finanziare debiti di altri Paesi”
Ieri il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, lo aveva definito un “accordo molto complesso” da raggiungere. E infatti, dopo 14 ore di negoziati sul sistema di risoluzione comune delle crisi bancarie, il Consiglio Ecofin è terminato questa notte con i ministri dei Ventotto che hanno deciso di aggiornarsi in una nuova riunione la prossima settimana. I nuovi appuntamenti sono per martedì 17 dicembre con un Eurogruppo, seguito il giorno successivo dal Consiglio Ecofin, fissato per provare a finalizzare l’accordo prima del vertice dei capi di Stato e di Governo di giovedì. Le maggiori resistenze sono arrivate dalla Germania che “ha la preoccupazione di essere chiamata a finanziare debiti di altri Paesi” come ha spiegato lo stesso Saccomanni che resta però ottimista: “Si può trovare un compromesso”. “Non abbiamo un preciso accordo sul tavolo quanto dei principi generali condivisi da tutti”, ha ammesso Rimantas Sadzius, ministro delle Finanze della Lituania, paese con la presidenza di turno del Consiglio Ue. L’unica cosa che Sadzius chiarisce è che una volta che il meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie sarà completato “si applicherà a tutte le banche che si trovano all’interno dell’unione bancaria”, con supervisione e gestione del risanamento che non seguiranno procedure standard ma “caso per caso”.
Mentre il primo pilastro dell’unione bancaria, il Single Supervisory Mechanism (Ssm) affidato alla Bce è già stato approvato, sono in discussione il secondo e il terzo pilastro, ovvero: l’avvio di un sistema europeo di risoluzione delle crisi degli istituti finanziari, il Single Resolution Mechanism (Srm), e il terzo, l’istituzione di uno schema comune di garanzia dei depositi.
E questi ultimi due sono l’oggetto delle trattative più difficili. Si tratta in pratica di scrivere le regole su come coprire i buchi delle banche in difficoltà, per evitare che la crisi di una si trascini sulle altre come nelle recenti crisi degli istituti finanziari mondiali, e gli Stati si devono mettere d’accordo su tre punti principali: quali sono le regole di base per l’intervento del meccanismo, al momento del bisogno quale deve essere l’organismo che decide la necessità dell’intervento e, infine, dove si devono prendere i soldi per l’intervento. La Germania non vuole assolutamente nessun tipo di intervento pubblico, il cosiddetto Bailout, ma soltanto interventi di fondi creati con i soldi degli azionisti, ovvero fondi privati, il Bail-in.
Per il momento si è raggiunto solo un accordo di massima sulla Bank Recovery and Resolution Directive (Brrd), che è il passo precedente al Srm, ovvero la proposta della Commissione su regole comuni a livello europeo ma con meccanismi (e quindi fondi) divisi tra i diversi Paesi. Sarebbe in pratica un cammino il cui percorso è ancora da definire bene. Si partirebbe il 1 gennaio 2015 e si prevede un periodo di transizione decennale per immettere risorse nelle casse del futuro fondo unico a livello Ue per averlo così pienamente operativo nel 2025. Una volta entrato a regime il meccanismo dovrebbe operare secondo questo schema: prima di accedere al fondo di risoluzione si prevede il ricorso a un bail-in sulle spalle degli azionisti pari a un tetto dell’8% degli asset bancari. Qualora le perdite della banca eccedessero un valore superiore a questo 8%, si avrebbe un ulteriore contributo pari al 5% del valore degli asset bancari, che sarà a carico di obbligazionisti, imprese e depositi oltre 100 mila euro, per arrivare così a una soglia di rifinanziamento privato del 13%. Solo alla fine si accederebbe al fondo di risoluzione unico, sottoscritto dalle banche per circa 45 miliardi.
Ma nei 10 anni del periodo di transizione sotto Brrd le risorse del fondo unico sarebbero limitate e in caso di emergenza potrebbe quindi esserci bisogno di un intervento degli Stati, altro punto di scontro tra chi come l’Italia sarebbe favorevole, e chi, come Berlino, non ne vuole sapere niente di rischiare i soldi dei propri contribuenti. Per questo il punto centrale su cui cercano un accordo i ministri è proprio quello della “progressiva mutualizzazione” del fondo di risoluzione, ha prima sottolineato il ministro Saccomanni, e poi ribadito il suo omologo francese, Pierre Moscovici, per il quale “ciò che occorre è una forte dose di mutualizzazione”, quindi arrivare ad avere un fondo unico è dunque, per loro, “essenziale”. La Germania cederebbe sui fondi pubblici ma solo come ultimissima ‘ratio’, ma vuole precise garanzie. C’è ancora una settimana per provare a chiudere in fretta la partita e trovare un compromesso accettabile, altrimenti vorrà dire che la strada del provvedimento si metterebbe davvero in salita.
Alfonso Bianchi e Renato Giannetti