Hanno portato via una figlia dal grembo a una donna che era andata a fare un corso nel Regno Unito. La donna aveva chiesto assistenza in seguito a una crisi di nervi
di Enrico Franceschini da Repubblica.it
In un caso legale senza precedenti, i servizi sociali britannici hanno portato via una figlia letteralmente dal grembo a un’italiana che era venuta a fare un corso di addestramento nel Regno Unito. La donna – la cui identità non può venire rivelata per ragioni legali – era stata ricoverata in ospedale vicino a Londra in seguito a una crisi di nervi provocata dal bipolarismo, disturbo di cui soffre. Quando si è sentita meglio ha chiesto di poter tornare nell’albergo in cui risiedeva, ma si è trovata di fatto prigioniera e ha scoperto di essere stata internata in un reparto psichiatrico. Lì, senza che nessuna le chiedesse il permesso o nemmeno la informasse, le autorità sanitarie l’hanno sottoposta a sedazione e poi a parto cesareo. La figlia è stato quindi assegnato ai servizi sociali e offerto in adozione a famiglie inglesi. Rilasciata e rientrata in Italia, la donna si è rivolta alla giustizia per riavere indietro la figlia, finora senza successo. “In 40 anni di carriera in questioni di diritto di famiglia non ho mai avuto a che fare con un caso del genere”, dice Brendan Fleming, l’avvocato che la difende.
La vicenda rischia di diventare un conflitto giudiziario e forse diplomatico tra Italia e Gran Bretagna. Infatti la donna, rientrata in patria, si è rivolta anche all’Alta Corte di Roma, che ha chiesto alle autorità britanniche perché i servizi sociali del Regno Unito sono intervenuti nei confronti di una cittadina italiana “abitualmente residente” nel nostro paese. Il giudice italiano, tuttavia, avrebbe poi riconosciuto che il tribunale britannico aveva giurisdizione sulla donna, che era stata giudicata “incapace” di dare istruzioni ai suoi avvocati nel momento in cui è avvenuto il fatto. Alle richieste di conoscere l’identità della donna e maggiori informazioni sulle circostanze dell’accaduto, lo studio dell’avvocato Fleming ha reso noto di “non potere rilasciare alcun commento in base alle leggi britanniche, per la natura confidenziale del procedimento”, una formula applicata generalmente in Inghilterra sia per proteggere la privacy dei minori, in questo caso la bambina, sia per non influenzare lo svolgimento del processo in Corte.
Tutto è cominciato quindici mesi fa, quando la donna, evidentemente già in avanzato stato di gravidanza, si è recata in Gran Bretagna per partecipare a un corso di addestramento presso l’aeroporto londinese di Stansted, quartier generale della linea aerea a basso costo Ryan Air. Sofferente di una forma di bipolarismo, un disturbo maniaco-depressivo caratterizzato da un’alternanza tra eccitamento e depressione, una sera la donna, avendo apparentemente dimenticato o comunque smesso di prendere i medicinali con cui teneva sotto controllo la malattia, si è sentita male. Ha chiamato la polizia, che si è rivolta ai servizi sociali, che l’hanno fatta ricoverare in ospedale. E’ lì che la donna, sentitasi meglio, ha compreso di essere praticamente tenuta in stato di detenzione in un reparto psichiatrico. E a quel punto, avvicinatosi il momento del parto, i medici, su ordine della magistratura, hanno deciso di sottoporla a sedazione, le hanno praticato un parto cesareo, e le hanno quindi tolto il neonato, affidandolo ai servizi sociali britannici, che hanno iniziato (ma non ancora concluso) le pratiche per farlo adottare a una famiglia inglese.
La donna è successivamente tornata in patria, si è rivolta alla giustizia italiana, poi ha fatto ritorno a Londra e attraverso i suoi avvocati ha chiesto al tribunale britannico, durante un’udienza alla Chelmsford Crown Court, che le venisse restituita la figlia, ma finora senza risultati. Il giudice ha ammesso che, una volta ripresi i medicinali, la donna stava meglio e ha espresso un parere “favorevole” sulle sue condizioni psico-fisiche, ma ha lo stesso rifiutato di assegnarle la figlia sostenendo che poteva ricadere nello stato di “mental breakdown”, ovvero di depressione mentale, in cui si era trovata quando si è sentita male. Dal punto di vista di Londra, la bambina le è stata tolta per impedire che la madre potesse nuocerle. Ma l’avvocato della donna si chiede perché non sono mai stati contattati i familiari della donna in Italia e perché non è stata presa in considerazione l’ipotesi di affidare la bambina a un amico di famiglia in America che si era detto disposto ad occuparsene almeno temporaneamente. Un esperto inglese in diritto di famiglia ha dichiarato al Daily Telegraph, il quotidiano che ieri ha rivelato il caso, che la giustizia britannica si è comportata in modo “altamente insolito”: sarebbe stato necessario, osserva l’esperto, verificare se la donna era veramente incapace di prendere decisioni autonomamente e poi dimostrare che ci fosse un alto rischio per il neonato nell’eventualità di un parto normale. Non è la prima volta che i servizi sociali britannici sono al centro di controversie: negli ultimi anni sono stati accusati in varie vicende finite sui giornali di eccesso o difetto di intervento, dimostrandosi troppo rigorosi o troppo assenti in questioni in cui era in gioco la salute di un bambino.