Dopo cinque intere settimane di duro lavoro durante le quali decine di committees hanno spremuto le loro meningi, e dopo una sessione lavorativa di diciassette ore filate – come noto i tedeschi sono gran lavoratori e dopo sole diciassette ore saranno usciti freschissimi –, alle prime luci dell’alba di mercoledì 27 novembre Angela Merkel ha presentato alla stampa il documento di 185 pagine che dovrebbe costituire il blueprint del prossimo governo di Grosse Koalition con i socialdemocratici, sempre che il programma venga approvato il 14 dicembre dai 470.000 iscritti al Partito Socialdemocratico. Non si capisce come sia possibile che tanto lavoro abbia prodotto un documento così striminzito di contenuti e immaginazione, a partire dal titolo: Shaping Germany’s future.
Sul futuro dell’Europa, su cui ci saremmo aspettati grandi visioni, non si dice quasi nulla, a parte la luce verde per andare avanti sull’unione bancaria (anche se in modo sempre incompleto, perché l’assicurazione sui depositi bancari, secondo il diktat tedesco, deve rimanere nazionale). Sembra essersi sbloccata, però, l’incresciosa situazione della agenzia sulla Bank Resolution, su cui i tedeschi avevano fatto un’incomprensibile marcia indietro.
L’unione bancaria, come tutti sanno, è stata voluta dal Consiglio Europeo nel mese di giugno del 2012 poiché era assolutamente necessario, secondo tutti i capi di Stato, recidere con decisione lo stretto legame che unisce gli Stati sovrani alle azioni sconsiderate delle banche private. Il caso più eclatante è quello dell’Irlanda, che prima della crisi finanziaria del 2008 aveva il debito pubblico rispetto al PIL più basso d’Europa (il 25%), ma che è stata costretta ad accollarsi le scellerataggini dei suoi banchieri portando il rapporto debito pubblico/PIL a oltre il 100%, e non certo perché i suoi cittadini fossero cicale, come si è spesso detto a proposito della Grecia. La conseguenza, per l’Irlanda, è stata quella di non riuscire più a finanziarsi e di dover richiedere un bailout che ha messo il paese sotto la famosa Troika (Commissione, BCE e FMI).
Il ministro delle Finanze Schäuble ha bloccato per mesi l’avanzamento del progetto perché non voleva che si costituisse un’autorità unica europea per la Bank Resolution, ma solo autorità nazionali. Nessuno è riuscito a capire quale fosse la filosofia di Schäuble. Se si fosse tornato alle autorità nazionali, non si sarebbe più capito il senso dell’unione bancaria. La costituzione di un’autorità unica per la risoluzione delle crisi bancarie (Bank Resolution Authority), secondo molti osservatori, è il passo più importante nello spostamento di sovranità nazionale dopo la creazione dell’euro.
Sulla Bank Resolution, sia la Commissione che la BCE avevano preso posizione in favore di un nuovo organismo centralizzato che fosse anche «forte e indipendente», come ha scritto la BCE, con chiari poteri di costringere le banche in difficoltà o a ricapitalizzare o a dichiarare bancarotta. Schäuble, invece, ha per mesi sostenuto che le autorità sulla Bank Resolution dovessero essere nazionali e che per un’autorità centrale europea ci sarebbe stato bisogno di un nuovo trattato. La BCE era totalmente contraria, come ha spiegato in un documento di trentadue pagine inviato alla Commissione qualche settimana fa. «Un’autorità centrale sarebbe meglio per poter mettere in gioco una risoluzione bancaria ottimale. Il coordinamento tra sistemi nazionali di risoluzione non si è rivelato sufficiente per raggiungere le decisioni migliori e più tempestive». E, sempre secondo la BCE, non c’è nessun bisogno di ricorrere a un nuovo trattato. Le normative contenute in quelli attuali sono più che sufficienti.
Con la BCE che si è messa dalla parte della Commissione, la Germania è stata isolata su questo punto in Europa e la Merkel e Schäuble ne hanno dovuto prendere atto (con un nuovo presidente della Commissione non così debole come Barroso, non potrebbe essere questa una strategia per mettere all’angolo i tedeschi quando sono completamente irragionevoli?). Intanto la BCE sta andando avanti con il primo pilastro dell’unione bancaria, quello del Meccanismo di supervisione unica delle maggiori centotrenta banche europee (che rappresentano circa l’85% degli attivi bancari dell’Eurozona), che si dovrebbe concludere entro il mese di ottobre del 2014. Entro quel mese, però, dovrebbe essere in funzione anche il secondo pilastro, quello dell’autorità per la risoluzione delle crisi. Perché, se in seguito alle verifiche della BCE una banca tra le centotrenta dovesse essere trovata inadeguata ad andare avanti a fare banca senza troppi rischi per i risparmiatori, dovrebbe esserci già in funzione un’entità europea che la rifinanzi, la faccia fallire o la costringa a fondersi con un’altra banca. Come ha detto di recente Jörg Asmussen, uno dei due tedeschi nel Consiglio direttivo della BCE, e che è stato in passato un vice di Schäuble ma che ora sostiene le posizioni della BCE: «Il Meccanismo di risoluzione dev’essere completato in fretta affinché sia pronto per l’inizio del 2015. Voglio chiarire che questa autorità dovrà essere veloce nelle sue decisioni. Quindi non potrà essere il Consiglio dei ministri europei. Non potrà essere nemmeno la BCE, che già fa la supervisione: dobbiamo credere nella divisione del lavoro. Dovrà essere qualcosa che non comporti un cambiamento dei trattati europei perché non ce n’è il tempo».
Elido Fazi