Ci fu una gara, alla quale partecipò praticamente tutta la stampa europea, per trovare la definizione più buffa e umiliante per la baronessa Catherine Ashton quando, alla fine del 2009, fu chiamata a capo della diplomazia dell’Unione. In sostanza quello che scrivemmo tutti era che una perfetta incapace, senza alcuna esperienza in materia di politica estera, era stata imposta dagli inglesi ed accettata dagli altri governi proprio perché essendo un’inetta non avrebbe disturbato i fenomeni che guidano le diplomazie del 27 (allora e 28 oggi).
Avevamo torto. La stampa alle volte sbaglia e quella volta sbagliò. Ora, non è che Ashton sia diventata un’esperta di politica internazionale o una teorica di qualche raffinata strategia come tanti suoi colleghi maschi hanno dimostrato di saper fare, essendo poi del tutto incapaci, loro, a ottenere risultati significativi o anche semplicemente onorevoli per le loro istituzioni. Pian piano ci si è resi conto che la signora inglese, poco incline a parlare con la stampa, era però una testa dura, una che se si prefigge un obiettivo mette sul piatto tutte le sue energie, con onestà e lealtà, per raggiungerlo. La prima cosa da fare era costruire un servizio che non esisteva, quello diplomatico. E’ stata una rivoluzione silenziosa, ma Ashton l’ha fatta, mischiando 3.000 persone della Commissione, del Consiglio, delle diplomazie nazionali, per lasciare all’Unione una diplomazia che non aveva mai avuto. Certo, tra funzionari qualche problema c’è stato, gelosie, gare di professionalità e di stipendi, potere in più o in meno. Volendo se ne potrebbe parlare per giorni, ma fuori non è successo nulla, non è scoppiata nessuna questione. Il lavoro è stato fatto, in silenzio, con caparbietà, secondo le regole alle volte anche personali imposte dalla baronessa, come fa qualsiasi capo, in qualsiasi istituzione pubblica o privata, a qualsiasi livello. Debbo ammettere che sfiderei a trovare incapaci nelle posizioni chiave scelte da Ashton. Poi il suo gabinetto è un via vai di gente che sembra una stazione della metro, lei delega poco ed impone ritmi pesanti, non garantisce facili carriere o privilegi, offre poca visibilità.
Il suo servizio di comunicazione è uno dei più scadenti della Commissione, anche perché lei non ama parlare con i giornalisti, e dunque i suoi portavoce hanno poco spazio di manovra, ma forse ecco, lì si potrebbe dire che c’era di meglio da trovare. Lei ha lavorato sottotraccia, ha fatto in modo di non farsi notare. Non sa fare discorsi affabulatori, non si mostra inutilmente in giro con grandi permanenti e abita sgargianti, non finge di avere chissà che grandi pensieri per la testa, non sa farsi pubblicità, ma leggendo il suo curriculum con più attenzione si vede che ogni incarico che ha avuto l’ha portato a termine con soddisfazione per chi ce l’aveva messa. E’ come una talpa, lavora sottotraccia ma nulla la ferma.
Domenica scorsa ha messo la sua ultima medaglia al suo palmares, firmando, da protagonista, l’accordo sul nucleare iraniano. Non è stato “merito suo”, in questi casi d’altra parte è difficile trovare un unico merito. Il governo in Iran è cambiato, Washington nell’ultimo anno ha deciso di lavorare seriamente a questo obiettivo, ma lei ha lavorato sempre perché questo succedesse, con la sua collega Clinton prima e con Kerry adesso. Pare che l’attuale segretario di stato la chiami in continuazione, più ancora di quanto facesse Clinton. Ma lei zitta, sono quattro anni che sale e scende dagli aerei, che tesse rapporti con tutti, ovunque, portando alle volte a casa il risultato. Altro suo grande successo sono i dialoghi tra Sebia e Kosovo, aperti grazie alla sua costante insistenza, come una goccia sulla pietra alla fine l’ha spezzata e, anche con qualche disordine, ha portato i serbi di Kosovo alle urne per le amministrative qualche settimana fa.
In Ucraina non è andata altrettanto bene, la possibilità di un’intesa sembra essere, al momento sfumata, per quanto Kiev si stia rendendo conto di rischiare di trovarsi completamente in balia di Mosca e forse stia ripensando la strategia. In Nord Africa invece, tutto sommato, è andata meglio. Non si è ottenuto quasi nulla tranne il fatto, non disprezzabile e non banale, di essere diventati, grazie alla baronessa, un interlocutore credibile per tutte le parti in causa. Bisognerà vedere se questo non possa essere utile un domani, quando e se le cose si muoveranno.
Dobbiamo dunque ricrederci: Catherine Ashton ha fatto un buon lavoro (per gli standard europei) certamente migliore di molti altri suoi colleghi. Si è fatta notare meno, ma è una questione di stile, di personalità, e, possiamo dire, di concretezza.
Ha già detto che non resterà per un altro mandato. Vedremo chi verrà, probabilmente un maschio molto pieno di se e con un’ottima stampa, ma forse, a questo punto, la Commissione e il Servizio esterno potrebbero perdere qualcosa.
Lorenzo Robustelli