Intervista al fumettista Walter Venturi che sabato presenterà alla Piola Libri il lavoro realizzato per Sergio Bonelli Editore: storia di un Indiana Jones e “cervello in fuga” ante litteram
La sua è la storia di un italiano che, come tanti, ha dovuto fuggire all’estero per cercare fortuna e realizzare un sogno. Ma il “cervello in fuga” che conosceremo questo sabato alla Piola Libri di Bruxelles, di comune ha davvero poco. Alto più di due metri, dotato di una forza tale da poter sollevare da solo più di dieci persone, fenomeno da baraccone al circo prima ed egittologo di fama mondiale poi, Giovanni Battista Belzoni sembra scaturito direttamente dalla fantasia di un abile narratore. E invece la sua è una storia vera, ma troppo appassionante perché qualcuno non decidesse di trasformarla in un romanzo a fumetti, dopo l’ampia biografia “Il gigante del Nilo. Storia e avventure del Grande Belzoni”, pubblicata nel 2008 da Marco Zatterin, ora corrispondente de La Stampa da Bruxelles. Lo ha fatto Walter Venturi, che ha scritto e disegnato per la Sergio Bonelli editore “Il grande Belzoni”, che porterà sabato a Bruxelles.
Chi è il grande Belzoni?
Giovanni Battista Belzoni è il nostro Indiana Jones, anzi sembra proprio che George Lucas abbia preso l’idea per il suo personaggio proprio leggendo la biografia di Belzoni. È una figura poco nota: fino a dieci anni fa, quando ho cominciato a raccogliere notizie su di lui per me era un perfetto sconosciuto. Solo per caso ho scoperto questo eroe nazionale che sembrava fatto apposta per essere trasformato in un fumetto. Un fumetto di avventura con la A maiuscola perché leggendo la sua biografia la impersona proprio tutta quanta.
Come l’hai conosciuto?
Stavo sul divano di sera e mi stavo addormentando mentre seguivo una docufiction inglese. Mentre cadevo tra le braccia di Morfeo sento parlare di questo gigante di Padova che scopre l’ingresso della piramide di Chefren, la tomba di Seti I che è una delle tombe più belle della Valle dei Re. Poi mi addormento ed è con questo input in testa che comincio magicamente a fantasticare. Sono un disegnatore di fumetti e non mi poteva capitare di meglio. Quella notte praticamente ho buttato giù i primi schizzi.
Cosa ti ha colpito di questa figura?
La prima cosa che mi ha impressionato è stata la sua fisicità: lo descrivono alto due metri, forse due metri e dieci che già adesso sarebbe un cestista straordinario, figuriamoci nell’Ottocento che non erano così alti. In più era rosso di capelli e se ci metti che era l’uomo forzuto di un circo e riusciva ad alzare undici persone insieme, impressionava non poco. E poi tutta la sua vita è stata un’avventura straordinaria.
Quanto ti ci è voluto per la realizzazione del fumetto?
Per la realizzazione pratica delle tavole sono rimasto nella mia media, una tavola al giorno. Sono 261 pagine di storia, ci posso avere messo un anno. Ma è stata la fase di ricerca che ha preso molto più tempo.
Cioè?
La ricerca è iniziata praticamente dieci anni fa. Non c’erano tante notizie, ho dovuto incrociare quelle disponibili. Fondamentali sono stati i diari di Belzoni che lui teneva e che sono anche stati dei veri bestseller nell’ottocento: sono stati stampati in tre edizioni, un bel successo. Mi ha molto aiutato anche la biografia scritta da Marco Zatterin. Poi però non ci sono fotografie perché stiamo parlando dei primi dell’ottocento. Per quanto riguarda le location in Egitto mi sono studiato la corrente di pittori cosiddetti Orientalisti, che è successiva, ma mi è servita per documentarmi su vestiti e su tutto quello che poteva servire. Insomma diciamo che ho cercato per dieci anni, ovviamente mentre facevo altri lavori, ma nella mia mente è tanto che c’è questo personaggio ed è anche per questo che gli voglio tanto bene e che lo porto anche a Bruxelles. Continua ad essere apprezzato prima all’estero che in Italia il Belzoni, lui che ha peregrinato tanto: partendo da Padova, ha fatto il giro dell’Italia, poi dell’Europa. È un cervello in fuga anche lui.
Un vero precursore di quello che molti italiani affrontano oggi…
Lui è stato anticipatore di tante cose. È stato un “self made man”, uno che si è riscoperto di volta in volta, prima uomo forzuto, poi ingegnere idraulico, quando è passato da Roma si dice addirittura fosse diventato prete per guadagnarsi la giornata. Ci sono notizie un po’ vaghe ma molto caratteristiche che costruiscono questa figura e la fanno diventare particolare, ai limiti del romanticismo. È un precursore anche di quello.
A proposito di cervelli in fuga: mai pensato di spostarti dall’Italia?
In Italia c’è ancora spazio per il fumetto e mi trovo benissimo con la mia casa editrice, la Sergio Bonelli, che mi ha dato questa possibilità e che lascia spazio di proporre ogni volta personaggi differenti, di ogni genere. Il mio è un romanzo storico ma si possono trovare fantascienza, western. Però io lavoro in casa ed è un lavoro che potrei fare dappertutto, quindi volendo perché no…
Quindi in Italia il settore del fumetto non sta risentendo del momento di crisi?
Io sono vent’anni che sono nel settore e vent’anni che sento parlare di crisi, però andiamo avanti. Magari stringiamo un po’ di più la cinghia però per fortuna se vai in un’edicola in Italia la trovi ancora bella piena di proposte. Poi c’è chi dura di più, chi dura di meno, ci sono proposte più o meno valide. Però la Bonelli ancora per fortuna gode di buona salute e mi auguro possa continuare per tanto tempo.
Molti definiscono Bruxelles la capitale europea del fumetto. La conosci da questo punto di vista?
No, infatti non vedo l’ora di arrivarci per questo fine settimana, ma conto di tornarci ancora e portarci la famiglia e la bambina piccolina. Vorrei fargli visitare il museo di Tintin, io stesso cercherò di fare un salto al Centro belga del fumetto, voglio vedere i murales. Sono sicuro che mi troverò bene.
Letizia Pascale