Wolfgang Munchau, sul «Financial Times» di oggi, si chiede: cosa dovrebbe fare ora la Banca Centrale Europea? Secondo Munchau ormai non ci sono più molte cartucce tradizionali da sparare – si può portare il tasso di interesse dallo 0,25% allo 0% e si può rendere negativo il tasso di deposito delle banche commerciali, che è già zero –, eppure c’è assoluto bisogno di stimolare l’economia. Munchau suggerisce di ricorrere a manovre non convenzionali simili ai quantitative easing che hanno portato avanti gli Stati Uniti, il Regno Unito e il Giappone. Non c’è nessun dubbio, guardando i dati relativi alla crescita e alla disoccupazione, che le manovre espansive della Fed sono state più efficaci di quelle della BCE.
Certo le posizioni di Munchau sono più plausibili di quelle del falco Hans-Werner Sinn, che si lamenta che i risparmiatori tedeschi sono penalizzati dall’abbassamento del tasso di interesse, ma allo stesso tempo vorrebbe continuare a godere di una situazione Deutschland über alles, con tassi sul debito pubblico tedesco simili a quelli dei paesi che hanno fatto manovre di quantitative easing e tassi per i fondi pensioni e in generale per i risparmiatori tedeschi simili a quelli che paga il governo italiano.
Munchau sembra anche essere pessimista sulla decisione che la Corte costituzionale tedesca, su richiesta della Bundesbank, prenderà presto sul programma OMT, l’Outright Monetary Transactions, le Operazioni Monetarie Definitive annunciate dal Consiglio direttivo della BCE il 2 agosto del 2012 e illustrate nel dettaglio il 6 settembre 2012, dopo l’ormai celebre discorso del whatever it takes fatto a Londra il 26 luglio. Sembra che la Corte si stia orientando verso una posizione critica. In questo caso, anche se il verdetto dovesse essere mascherato da parole molto soft, non c’è dubbio che gli investitori farebbero le loro considerazioni. Secondo Munchau a questo punto la BCE deve pensare a un piano B. Munchau suggerisce un quantitative easing all’americana.
Sono d’accordo con Munchau che la BCE debba cominciare a pensare a politiche monetarie innovative. Ma siamo sicuri che il quantitative easing all’americana sia la ricetta migliore? Io credo di no. Possiamo fare meglio tenendo conto proprio dell’esperienza americana. Il primo punto da prendere in considerazione è che in Europa il quantitative easing non raggiungerebbe il primo obiettivo di una politica monetaria intelligente, il più urgente secondo tutti, cioè quello di far tornare il credito verso le piccole e medie imprese, trattate come paria dalle banche, che si sono intascate i soldi della BCE al tasso oggidello 0,25% e hanno continuato a negare crediti alle imprese che ne hanno bisogno. Come ha affermato spesso Draghi, si è rotta “la cinghia di trasmissione” della politica monetaria.
Sia in America che in Europa i contribuenti sono stati torchiati per salvare con soldi pubblici banche che avevano agito in modo dissennato (senza, tra l’altro, che nessuno dei banchieri avesse il coraggio di rinunciare anche parzialmente ai suoi compensi milionari), ma almeno negli Stati Uniti il credito ha cominciato a riaffluire verso le aziende, le banche hanno ricominciato a fare il loro mestiere, concedere prestiti alle imprese e mutui ai cittadini che vogliono comprare una casa. In Europa, con l’eccezione della Germania, no! In Italia, nel 2012, le banche hanno ridotto i finanziamenti alle imprese di 44 miliardi.
Solo i soliti noti, gli amichetti delle banche, grandi leader da salotto (quelli buoni, naturalmente), riescono a farsi finanziare. Marco Tronchetti Provera, uno che ha sempre combinato guai per gli azionisti delle sue aziende (ad eccezione di se stesso) non ha avuto problemi a trovare finanziamenti: «Lo hanno salvato dall’avventura in Telecom; gli hanno finanziato e rifinanziato i tanti debiti dell’immobiliare e delle sue holding di controllo; lo hanno mantenuto in sella a Pirelli con un patto di sindacato. Ora le banche (Intesa e Unicredit) investono pure 230 milioni di capitale in una scatola non quotata, al solo scopo di permettere a Tronchetti di comandare per altri quattro anni… A parte i prestiti già erogati alle varie holding e attività immobiliari del gruppo (non molto utili alla crescita), con il patrimonio di vigilanza assorbito dai 230 milioni si sarebbero potuti erogare quasi 700 milioni di mutui residenziali», ha scritto Alessandro Penati sulla «Repubblica».
Non ha forse ragione Federico Rampini quando dice, nel suo ultimo libro, Banchieri (che vi raccomando): «I grandi banditi del nostro tempo sono i banchieri… Pochi banditi della storia furono così abili e sfacciati nel difendersi da ogni castigo, e rovesciare sulla collettività il prezzo delle loro azioni»? Tanto abili e sfacciati che qualcuno di loro, come Corrado Passera, ad esempio, vuole ora proporsi come leader politico.
Di questo, Munchau è pienamente cosciente. Il quantitative easing non raggiungerebbe le piccole e medie imprese. Munchau suggerisce di tener conto di questo e di istituire uno schema simile a quello messo in piedi dalla Banca d’Inghilterra, il Funding for Lending Programme o qualcosa di simile.
C’è poi un’altra contraddizione nelle politiche di quantitative easing adottate dalla FED. La più eclatante è che, nonostante esse abbiano avuto effetti benefici sugli aggregati totali dell’economia e sull’occupazione, è anche vero che dall’inizio della moneta facile le disuguaglianze economiche in America sono aumentate. Secondo un economista dell’università di Berkeley, Emmanuel Saez, nei primi due anni della ripresa americana i redditi dell’1% che sta al top (come direbbe il Flavio Briatore di Crozza) sono aumentati dell’11,2%, mentre quelli del rimanente 99% sono scesi dello 0,4%. La politica monetaria espansiva della FED non ha fatto partire l’inflazione, cioè i prezzi dei beni di consumo, ma ha fatto rialzare di molto gli asset finanziari, soprattutto le azioni delle imprese quotate a Wall Street (il 10% delle famiglie più abbienti americane possiede l’81% delle azioni quotate). Un’altra conseguenza sgradevole di questa situazione è che il rialzo degli asset fa pensare che siamo di fronte a una nuova bolla speculativa simile a quella precedente al 2008. Secondo il matematico libanese Nassim Taleb, inventore del famoso “cigno nero”, cioè di una catastrofe così grossa che è difficile prevederla, la prossima crisi potrebbe essere peggiore della precedente. Insomma, il diluvio di liquidità che si è abbattuto sull’economia ha reso i ricchi ancora più ricchi, mentre non ha aiutato molto i cittadini medi.
Quindi siamo d’accordo che la BCE deve cominciare a immaginare politiche monetarie più creative. Ma noi preferiremmo una politica di monetizzazione diretta del debito pubblico, che potrebbe oggi avvenire senza alcun pericolo di inflazione, considerando l’enorme eccesso di capacità produttiva nell’eurozona e la trappola della liquidità in cui siamo caduti ( l’offerta di moneta non segue l’aumento della base monetaria). Per un paese come l’Italia, se potesse pagare sul debito pubblico gli stessi tassi d’interesse che paga l’America e ridurre allo stesso tempo il livello nominale del debito, potrebbe liberare risorse finanziarie di 50-60 miliardi che potrebbero andare tutte a ridurre il cuneo fiscale. Non c’è dubbio che così il PIL ricomincerebbe a salire di sicuro del 2-3% (la riduzione del cuneo fiscale, andando a impattare sui redditi più bassi, potrebbe trasformarsi quasi tutta in consumi aggiuntivi). Avremmo risolto in gran parte molti dei nostri problemi.
Su come potrebbe essere fatta concretamente la monetizzazione del debito e in che quantità, e come potrebbe essere suddivisa tra i vari paesi dell’Eurozona, torneremo a parlare presto.
Elido Fazi