Il regolamento Dublino II impone di accogliere la domanda nel primo Stato di ingresso dell’Ue ma una sentenza, che fa chiaro riferimento ad Atene, stabilisce che non si può rimandare un richiedente in un altro Paese membro se lì rischia “di subire trattamenti inumani o degradanti”
Uno Stato non può respingere un richiedente Asilo e mandarlo in un altro Paese membro se rischia “di subire trattamenti inumani o degradanti”. È quanto ha stabilito una sentenza della Corte di giustizia dell’Ue che precisa ulteriormente “Dublino II”, il regolamento comunitario che enuncia i criteri che consentono di determinare lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo presentata nell’Unione. Secondo Dublino II è competente lo Stato membro in cui per primo mette piedi il cittadino extracomunitario, ma spesso i rifugiati che sbarcano sulle coste italiane, spagnole e soprattutto greche preferiscono inoltrare la domanda di protezione in altri paesi, temendo che questa venga rigettata. A fronte di 11.195 richieste nel 2012 Atene ha risposto con addirittura 11.095 rifiuti, ovvero quasi il 100% .
La sentenza è nata in seguito al ricorso di un cittadino iraniano entrato illegalmente in Germania attraverso la Grecia. La domanda di Asilo che ha presentato in Germania è stata dichiarata irricevibile giacché, ai sensi del regolamento, era la Grecia lo Stato membro competente per esaminarla. L’iraniano ha fatto allora ricorso e il Tribunale amministrativo di Francoforte sul Meno, viste le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo e del trattamento delle domande in Grecia, ha stabilito che la Germania era tenuta a esaminare la domanda e le autorità tedesche gli hanno successivamente riconosciuto lo status di rifugiato.
La Corte di appello ha chiesto però al Tribunale Ue di precisare come debba essere identificato lo Stato tenuto a esaminare la domanda di asilo. Nella sentenza la Corte ha ribadito che “uno Stato membro è tenuto a non trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro inizialmente identificato come competente quando non può ignorare che le carenze sistemiche della procedura di asilo e delle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato membro costituiscono motivi seri e comprovati di credere che il richiedente corra un rischio reale di subire trattamenti inumani o degradanti”. Il Paese a quel punto ha la possibilità o di esaminare in prima persona la domanda o “qualora non intenda avvalersi di tale facoltà” deve almeno “identificare lo Stato membro competente”, sottolineando però che l’intero processo non deve avere una “durata irragionevole”.
La Commissione europea non si è mostrata sorpresa per la sentenza e ha anzi affermato che “non è il primo giudizio in questo senso”. Secondo quanto spiegato alla stampa da Michele Cercone, portavoce del commissario agli Affari interni, Cecilia Malmström, l’esecutivo di Bruxelles è “inquietato” e ha già aperto “una procedura di infrazione verso le autorità greche a causa della loro mancanza di rispetto delle implementazioni dell’insieme della legislazione europea in materia di Aasilo” e delle stesse “condizioni dell’Asilo”. E per superare questa situazione, spiega, “a giugno abbiamo dato il via a un action plan congiunto”, ma sarà “difficile” e ci vorrà tempo. Quello che viene maggiormente contestato dalla Commissione Ue è il fatto che i richiedenti Asilo in Grecia vengano rinchiusi in “maniera indiscriminata” nei centri di detenzione insieme agli immigrati irregolari. “La legislazione europea è chiara” ha continuato Cercone, “permette detenzione in casi straordinari”, ma per il resto i rifugiati “non devono e non possono essere messi nei centri di detenzione”.
Alfonso Bianchi
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