Fa dei buffi ragionamenti Angelo Panebianco sul «Corriere della Sera» del 4 novembre. Partendo dall’assunto, tutto da dimostrare, che l’anno prossimo i partiti nazionalisti antieuro (Le Pen in Francia, Grillo in Italia, Albadorata in Grecia) trionferanno alle prossime elezioni europee, si lancia in un duro attacco contro le élite, cioè contro se stesso, se includiamo nelle élite anche gli editorialisti del «Corriere della Sera».
«Soprattutto bisognerà riconoscere che la responsabilità dell’ondata antieuropea ricade interamente sulle spalle di quelle élite che con le loro politiche e i loro errori l’hanno provocata». Certo, se dovessero vincere gli antieuropeisti alle prossime elezioni, parte della colpa ricadrebbe, oltre che sui politici, anche su quegli editorialisti che continuano a infarcire i lettori di sciocchezze come la seguente: «L’Unione Europea va ripensata. Bisogna prendere atto che le divisioni che l’attraversano sono ormai troppo profonde e che l’unico modo per non esasperarle ulteriormente è cambiare registro».
Come pensa di cambiare registro Panebianco? Sentiamolo, lanciato in una surreale analisi: «È inutile, e controproducente, continuare a spendere vuota retorica a favore di un’ipotesi di super Stato – gli Stati Uniti d’Europa – che probabilmente non nascerà mai e che comunque, in questa fase storica, non interessa alla maggioranza degli europei».
Come fa Panebianco ad asserire con granitica certezza che in questa fase storica l’unione politica non interessa alla maggioranza degli europei, quando alle recenti elezioni tedesche il 95% degli lettori tedeschi ha votato a favore di partiti europeisti? E chi ha convinto Panebianco che si vuole creare un super Stato europeo? Nessuno, quando pensa agli Stati Uniti d’Europa, pensa a un super Stato. Si tratta solo di ridare legittimità democratica ad alcune decisioni che non riguardano solo un singolo paese, ma l’intera comunità, e che nella situazione di architettura attuale dell’Unione Europea vengono prese dal paese egemone all’interno del Consiglio Europeo in condizioni definite dal più grande filosofo tedesco Jürgen Habermas “postdemocratiche”.
Il cambio di registro per Panebianco dovrebbe consistere in una ridefinizione della direzione di marcia piegando le istituzioni europee «verso una più realistica e fattibile soluzione “confederale”». A questo punto, però, all’emerito professore viene un piccolo dubbio. Ma «una soluzione confederale è compatibile con la moneta unica?». Urca, non ci aveva pensato. «Forse sì e forse no». Ma non importa, il professore va avanti con i suoi profondi ragionamenti: «Ma chi vuole mettere in sicurezza l’euro (e bisognerebbe fare il possibile per metterlo in sicurezza) ha l’onere di individuare soluzioni realistiche, accettabili per i diversi Stati nazionali, rinunciando alle solite fughe in avanti, rinunciando a perorare l’idea di un impossibile Stato sopranazionale». Siete interessati all’euro? A voi l’onere di pensare a una soluzione, basta che non sia quella che tutte le persone di buon senso (da Jürgen Habermas a Giorgio Napolitano, da Enrico Letta a Wolfgang Munchau) suggeriscono, cioè quella di mettere in comune il debito o monetizzarlo, e di introdurre un Tesoro europeo.
Poi Panebianco ci riserva finalmente una bella sorpresa! «Forse, il vero salvataggio dell’Unione verrà dall’accordo per il libero scambio con gli Stati Uniti». Forza Grillo! Non è da escludere che, con l’aiuto dei Panebianchi italiani, tu non riesca a raggiungere la maggioranza alle prossime elezioni!
Certo, per molti versi la situazione in Europa è diventata intrattabile e per ora il modo in cui l’Eurozona sta cercando di risolvere la crisi – senza prendere in considerazione una parziale monetizzazione del debito pubblico
oppure strumenti di debito condivisi (Eurobond) – e insistendo invece sul pedale del riaggiustamento fiscale ci sta portando dritti dritti a un periodo di deflazione come quello giapponese degli ultimi vent’anni o peggio
(nei primi anni della stagnazione giapponese il PIL cresceva ancora, mentre da noi le cose vanno molto peggio, e per di più il Giappone non ha mai avuto il livello di disoccupazione che ha l’Eurozona ora).
Ci siamo infilati in un vero e proprio circolo vizioso. Per poter attuare politiche macroeconomiche che potrebbero trarci fuori dal pantano abbiamo bisogno di procedere verso la creazione di un Tesoro europeo, di andare cioè verso l’unità politica. Agli elettori sfugge questo nesso e quindi, incitati da cattivi maestri, se la prendono con l’Europa.
Non si capisce poi, anche se si volesse uscire dall’euro, come potrebbe essere fatto, e perché un’uscita dall’euro dovrebbe risolvere i nostri problemi, piuttosto che aggravarli. Cosa diventerebbe tra dieci o vent’anni l’Europa senza euro e senza una politica economica e una politica estera e di difesa comune?
Un’obiezione un po’ più seria di quella di Panebianco potrebbe essere quella sollevata dal professor Heisbourg in Francia, nel libro La Fin du Reve Européen, cioè che sarebbe irrealistico andare avanti con l’unione politica
se gli elettori dovessero rigettare alle urne un trattato di unione politica. Ma questa è una battaglia tutta da fare nei prossimi anni e ci vorrebbero milioni di Panebianco per convincere gli elettori che uscendo dall’euro usciremmo pure dalla trappola deflazionistica in cui ci stiamo cacciando.
Elido Fazi