In un articolo sull’inserto «La Lettura» del «Corriere della Sera», il premier Enrico Letta sottolinea come il momento di passaggio decisivo nella storia recente dell’Unione Europea sia stato l’ormai storico Whatever it takes di Mario Draghi, pronunciato in una conferenza a Londra il 25 luglio 2012, una «conferenza stampa destinata a farsi spartiacque della storia europea».
Naturalmente su questo punto non si può non essere d’accordo con Letta. Con il suo discorso londinese Mario Draghi ha posto fine – per ora, almeno – alla speculazione contro l’euro, cioè alla scommessa di molti speculatori che la moneta europea potesse sfasciarsi e tornassero le valute nazionali. Come conseguenza di quella dichiarazione, lo spread italiano è sceso da 500 punti a sotto 250, nonostante l’estrema incertezza che circonda senza tregua il governo di larghe intese.
I mercati hanno creduto a Draghi perché per la prima volta ha dichiarato che gli interventi per proteggere l’euro non avrebbero avuto un limite, e questo ha fatto fuggire con la coda tra le gambe gli speculatori senza che la BCE tirasse fuori un solo euro.
Letta, però, ha dimenticato di dire che ci sono forze avverse che stanno cercando di abbattere la barriera, anche se solo teorica, dell’illimitatezza degli interventi, e il principale nemico dell’euro questa volta non sono i grandi speculatori internazionali, e neanche la signora Le Pen in Francia, il tragicomico Grillo o il partito antieuro tedesco, ma nientepopodimeno che il grande e sommo governatore della Bundesbank Jens Weidmann, che ritiene che l’acquisto di bond (soprattutto quelli di paesi come l’Italia e la Spagna) da parte della BCE sia opera del diavolo, e a questo proposito cita spesso (a sproposito) il Faust (parte II) di Johann Wolfgang Goethe, il più grande scrittore di lingua tedesca.
È Weidmann ad aver fatto ricorso alla Corte Costituzionale tedesca affinché si pronunci su un ricorso il cui scopo è proprio quello di impedire che la BCE possa impegnarsi in interventi illimitati. Questi ultimi, secondo il teutonico governatore, potrebbero mettere in pericolo la stabilità dell’economia tedesca. Se la Corte, che dovrà pronunciarsi a breve, dovesse dare retta a Weidmann, si scatenerebbe il finimondo sul mercato del debito.
Al contrario della Banca d’Italia, i governatori della Bundesbank non si fanno le ossa all’interno dell’istituzione, ma sono nominati dalla politica. Weidmann stesso era un fedelissimo della Merkel che lavorava come dirigente nel gabinetto della cancelliera. Letta forse avrebbe potuto illuminarci sul perché di questa stravagante azione (che non può essere considerata solo di politica monetaria, ma di politica tout court). La prima domanda che uno si pone è la seguente: Weidmann agisce da solo o con la complicità della Merkel? E, se la Merkel non è complice, perché tace? La seconda è: ma perché Letta, che collega il whatever it takes di Draghi alla sfida più ambiziosa che attende l’Europa nei prossimi anni, e cioè il completamento dell’unione bancaria, fiscale, economica e politica – la creazione cioè degli Stati Uniti d’Europa –, non ha mai detto nulla su questa questione? La terza è: ma perché Weidmann sembra oggi essere il peggior nemico dell’euro? Solo per ottusità e limiti delle sue conoscenze economiche?
È difficile dimenticare quello che scrisse Carli nelle sue memorie: «La sequela infinita di delegazioni tedesche che ho incontrato in questi quaranta e più anni si è sempre abbarbicata su una concezione scolastica dell’economia». Ma è altrettanto difficile sostenere che Weidmann agisca per imperizia economica. Sembra esserci una voglia di rivalsa verso i paesi in difficoltà che si fa fatica a capire.
Anche i suoi riferimenti letterari al Faust (parte II) di Goethe sembrano essere totalmente fuori luogo. Non c’è nessun motivo per ritenere che Goethe, l’unico grande poeta di tutti i tempi che si sia occupato di mettere in versi questioni di politica monetaria, pensi che la creazione di moneta sia opera del diavolo. Anzi. Sembra avere le stesse idee del nuovo governatore della Fed Janet Yellen. È vero che Mefistofele suggerisce all’imperatore del Sacro Romano Impero di stampare carta moneta per rilanciare l’economia, che soffre solo per una causa: la mancanza di moneta. L’economia ristagna ed è nel caos, in periodo di deflazione, diremmo oggi. Nessuno ha i soldi per mandare avanti gli affari, nemmeno il maggiordomo di corte ha più soldi per acquistare il vino tanto apprezzato dai cortigiani, nonostante le vendemmie siano abbondanti e il vino non comprato marcisca nelle cantine. Non appena aumenta l’offerta di moneta, tutto migliora. I generali possono pagare gli stipendi arretrati delle truppe, il Tesoro può pagare tutti i suoi fornitori, e tutti i sarti del Regno non riescono a stare dietro alle migliaia di richieste delle dame per abiti nuovi. In nessun verso dell’opera si accenna a pericoli inflazionistici. Mefistofele stesso è un diavoletto particolare, amato da Dio, che lo ritiene il più simpatico tra i suoi opponenti, il più beffardo, e a Dio i beffardi piacciono. Un diavolo che alla fine si innamora di un bell’angioletto. Faust stesso, come noto, Goethe non lo precipita all’inferno, ma lo fa salire in paradiso.
E se il diavolo fosse Weidmann? Il solito diavolo che tante volte nella storia ha preferito passeggiare lungo le ridenti cittadine tedesche?
Infine Letta fa riferimento alle posizioni dell’economista capo della grande banca Hsbc, Stephen King (il quale sostiene che «i governi si limitano a pregare perché arrivi una forte ripresa: preferiscono optare per l’illusione perché la realtà è troppo cupa») per chiedersi se esistono margini d’azione della politica. Non so se Letta abbia letto l’ultimo libro di King, When the money runs out: the end of western affluence, oppure solo l’articolo recente di King sul «New York Times». Qualora non lo avesse letto, glielo consiglio caldamente (il libro sarà pubblicato in primavera da Fazi Editore).
Elido Fazi