Scherzi da prete. Si dice così per condannare gli scherzi più insulsi, meno fantasiosi. Ed ora la parabola si è conclusa: una trasmissione radiofonica ha fatto uno scherzo ad un famoso scienziato ateo (protagonista delle cronache in questi giorni per una frase che voglio sperare sia stata solo mal scritta) facendogli ricevere una telefonata da un imitatore di papa Francesco. Scherzo, in questo caso, particolarmente poco fantasioso in quanto lo scienziato in oggetto aveva tempo fa ricevuto una lettera da un vero papa, Benedetto XVI. Tra l’altro, sempre questo scienziato, a breve vedrà papa Francesco privatamente. Insomma, benché forse un tipo un po’ vanesio, non si tratta di uno sfigato qualsiasi, e lo scherzo era sin troppo facile e banale, da “prete”, appunto. Ma chi lo ha fatto non sapeva tutte queste cose.
Lo scienziato ha fatto un’ottima figura, ha spiegato quello che lui ha definito un malinteso (e rabadisco, spero che lo sia stato), è dignitoso e fermo nelle sue ragioni di ateo. E anzi, per nulla intimidito dal papa gli chiede la prefazione ad un suo libro.
Vorrei invece dire che questi scherzi telefonici, che non hanno nulla a che fare con il giornalismo, mi hanno stufato. In particolare perché li si fa passare per giornalismo. Il giornalismo è un mestiere che si fa alla luce del sole, ci si dichiara, si dice: io sono un giornalista e quel che mi dirai te lo chiedo per un solo fine, informare i lettori e dunque lo scriverò. Lealmente, dopo averti detto chi sono e cosa farò.
Chiedere ad un attore di chiamare qualcuno (in questo caso senza neanche una preparazione sul tema) facendosi passare per un altro non è giornalismo, è beffa, è scherzo, è forse spettacolo (alle volte di cattivo gusto). L’idea è infatti nata, credo, tanti anni fa in Mediaset, con una fortunata e simpatica trasmissione che si chiama “Scherzi a parte”, non so se la fanno ancora. Lì si burla una persona, si crea una situazione finta e se ne osservano le razioni, poi ci si monta un servizio. E’ fatto per ridere, non per giudicare. La vittima non sa di esserlo fino alla fine, ma poi le rivela la verità e questa autorizza la messa in onda. Non si parla di giornalismo, è spettacolo. Come successe anni prima con una famosa telefonata di un finto Sandro Pertini (il giornalista burlone Paolo Guzzanti) a Renzo Arbore durante la trasmissione “Quelli della notte”.
Chiamare giornalismo un imbroglio, un sotterfugio, lo trovo offensivo. Offensivo per la professione e volgare per il pubblico.
Lorenzo Robustelli
Leggi qui Paolo Guzzanti che spiega il suo scherzo (perché sempre tale lo chiama).