Intervista al presidente del Comitato economico e sociale europeo che dopo il suo tour tra le aziende dei Paesi membri dice: “Sono tutte deluse da Bruxelles, il malcontento si manifesterà in modo ineluttabile alle prossime elezioni”
Ha fatto un tour delle aziende europee, ha parlato con imprenditori e incontrato lavoratori e ora non ha paura di dirlo chiaramente: “Nel corso degli ultimi anni la Commissione europea non è stata all’altezza della sua responsabilità nella difesa dell’interesse generale delle imprese europee”. Per Henri Malosse, Presidente del Comitato economico e sociale europeo, l’azione dell’esecutivo europeo in materia di imprese, così proprio non va. “Quello che fa Tajani va anche bene”, concede ma “ci sono almeno due cose da cambiare a livello europeo”.
Quali?
Per prima cosa bisogna ammorbidire la politica europea in materia di concorrenza. Non è più adatta al mondo moderno. Era molto buona negli anni ‘70-‘80 ma nel mondo globalizzato, con la Cina che ha una specie di sistema capitalista di Stato e con l’America dove i programmi di Obama che passano per aiuti pubblici e intese tra imprese, non può più andare. La politica rigorista della Commissione dovrebbe essere rivista in un senso più favorevole all’industria europea, tanto a livello di sostegno pubblico, quanto di intese tra imprese: non si tratta di perturbare il mercato ma di permettere delle alleanze che le rendano più solide.
Oltre alle politiche in materia di concorrenza cosa occorre rivedere?
La politica commerciale, che a mio parere dovrebbe essere molto più pragmatica. Trovo che quella portata avanti dalla Commissione europea sia troppo ideologica e poco pratica. Io sono contrario al protezionismo ma anche al libero scambio per il libero scambio. Sto facendo il tour dell’Europa e tutti gli imprenditori che incontro, o almeno la gran parte, mi dicono: “Abbiamo problemi di accesso al mercato ad esempio in Brasile o negli Stati Uniti”. Noi a casa nostra abbiamo la concorrenza ma altrove non c’è. Bisogna introdurre più reciprocità e avere una politica esterna più pragmatica, più vicina agli interessi europei e non all’ideologia libero scambista, che risale al secolo scorso. Bisogna capire come aiutare l’industria europea, anche sviluppando una vera ricerca europea.
Oggi non c’è?
Adesso ci sono dei programmi di ricerca insufficienti, sia in volume che in qualità. C’è un grande spreco, in questo senso. Avrebbero potuto dire ad esempio: “Concentriamoci su tre priorità”, ma se guardiamo i programmi di ricerca dell’Ue (ad esempio Horizon 2020) c’è un catalogo infinito per fare piacere un po’ a tutti. Però i mezzi sono limitati, le procedure sono molte lunghe e gli imprenditori sanno che non avranno neanche un euro prima di tre anni. Inoltre la paura è che nel frattempo la loro idea possa essere copiata o riprodotta. Me lo raccontava ad esempio un imprenditore italiano: per il programma europeo avrebbe dovuto spiegare tutto il processo, sarebbe stato riprodotto da degli esperti, magari legati ad altri interessi. La paura è che l’idea venga copiata. E poi c’è un problema di fondi sui programma di ricerca europea: ci si concentra su ricerche generiche mentre quello di cui l’impresa ha bisogno è ricerca applicata, cioè vicina al mercato. Un’idea che possiamo tradurre in prodotto domani o in tre mesi, non in trent’anni.
Che stati d’animo ha incontrato nel suo tour delle imprese europee?
Sono tutte molto deluse dall’Europa. I piccoli e medi imprenditori vedono l’Europa più come una fonte di difficoltà che come di aiuto. C’è troppa regolamentazione, troppa formalità, burocrazia. Tajani ha fatto questo Small Business Act, che è molto buono, ma sono delle raccomandazioni, concretamente non succede niente. Le imprese sono molto deluse. Le grandi imprese non si aspettano più niente dall’Europa perché sono già sui mercati mondiali, quelle piccole e medie avrebbero bisogno di sostegno e appoggio. Ma i programmi di ricerca sono di difficile accesso, la politica di concorrenza frena gli aiuti alle imprese. Per questo gli imprenditori vedono l’Europa come qualcosa che li ostacola. E poi c’è anche il problema della mobilità dei lavoratori.
Cioè?
Ci sono pochissimi lavoratori che si spostano in Europa. C’è gente che si muove, ma sono soprattutto studenti. Le faccio un esempio. Ho incontrato un direttore francese, della regione di Parigi, che opera nel settore delle nuove tecnologie. Il suo problema principale, mi diceva, è trovare gente qualificata e competente da assumere a prezzi ragionevoli. Non trovando lavoratori francesi, ha chiesto alle agenzie di lavoro di cercare a livello europeo. Gli hanno detto che non sapevano come fare, che non è possibile. Mi diceva: “l’Europa non funziona”. Insomma ci sono tante cose su cui c’è un grande malcontento, che si tradurrà alle prossime elezioni europee in maniera ineluttabile.
Di chi è la responsabilità?
La povera Commissione europea non si può prendere tutti i peccati, penso ci siano anche grandi responsabilità a livello del Consiglio dei ministri. Quello che ho constatato è che i cittadini in generale non sopportano più questo rinvio di responsabilità. I governi dicono: “È colpa di Bruxelles”, Bruxelles dice: “È colpa dei governi”. E non cambia niente. È un gioco un po’ facile. È vero che il Consiglio dei ministri ha grandi difficoltà a decidere, ma bisogna riconoscere che negli ultimi anni la Commissione europea non è stata all’altezza delle sue responsabilità nel difendere l’interesse generale delle imprese, non ho problemi a dirlo.
Letizia Pascale