Ecco come un africano vede, da Sud, la tragedia di Lampedusa. “Mentre l’Europa ed i trafficanti di esseri umani si dividono le colpe, il peso di queste però grava sui governi africani”
È successo ancora una volta. Un peschereccio, con a bordo circa 500 migranti, prevalentemente provenienti da Somalia e Eritrea è affondato al largo delle coste di Lampedusa, in Italia. Finora le squadre di subacquei italiani hanno recuperato 232 corpi, ma si ipotizza un bilancio ben più drammatico, tra le 250 e le 350 vittime. I superstiti tratti in salvo sono solo 155. Le cause del naufragio del 20 metri motopeschereccio non sono ancora chiare. La spiegazione più diffusa tra i superstiti è che il motore ha cessato di funzionare, o è stato volutamente spento, e di conseguenza i migranti hanno acceso un fuoco per segnalare il pericolo ed attirare l’attenzione sul motopeschereccio in panne. La fiamma è poi andata fuori controllo e i profughi, presi dal panico, sono corsi in massa verso un lato della barca. La barca a quel punto si è capovolta. Molti dei passeggeri che non sapevano nuotare sono stati scagliati nel Mar Mediterraneo e, gli altri, sono rimasti intrappolati nello scafo della barca, senza alcuna speranza di fuggire. In onore delle vittime, l’Italia ha dichiarato un giorno di lutto, ha tenuto un minuto di silenzio nelle scuole di tutto il paese, ha promesso loro un funerale di stato e ha concesso, ai migranti morti, la cittadinanza italiana postuma.
Sebbene i funzionari italiani fingessero sguardi sconvolti, non è di certo il primo disastro a cui assistono. È accaduto, in svariate occasioni, al largo delle coste del Mediterraneo, che migliaia di migranti e rifugiati hanno tentato di fare il loro ingresso all’interno dei confini dell’Unione europea. Nel marzo del 2009, 200 persone sono annegate dopo che la loro barca è affondata al largo della costa siciliana a causa del maltempo. Nel giugno 2011, ne sono morte 270 dopo che il barcone che li trasportava, sovraffollato dalla presenza di circa 800 persone, ha incontrato cattive condizioni atmosferiche mentre era in rotta dalla Libia verso l’isola di Lampedusa. Dai dati del “No Border Network” , un archivio online sulle morti di migranti diretti in Europa segnalate ai media, nel 2003 sono morte 588 persone nel tentativo di entrare in Europa, 296 nel 2004, 343 nel 2005, 653 nel 2006, 732 nel 2007, 682 nel 2008 e 431 nel 2009. Le stime dell’Organizzazione Internazionale per le migrazione (Omi) sono molto più alte. Secondo l’Omi, dal 1988, sono circa 20.000 le persone morte lungo le frontiere meridionali dell’Europa. E le migliaia di migranti che riescono nell’impresa di varcare in sicurezza i confini europei non godono di un destino molto migliore. Di solito, finiscono a vivere in condizioni degradanti in campi di detenzione, dove non vi è il benchè minimo rispetto dei loro diritti fondamentali e dove sono trattati peggio dei criminali.
Ci sono diverse ragioni per questa tragedia e, dal momento in cui si è verificata, tutte le parti coinvolte non hanno perso tempo a puntare il dito l’una contro l’altra. Non senza una buona ragione, l’Unione europea è stato oggetto di diverse e significative critiche. A rifugiati e migranti, infatti, sono state bloccate quasi tutte le vie legali per raggiungere l’Europa. Nonostante l’asilo sia un diritto umano sancito dalla stessa Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite, i canali legali aperti ai richiedenti asilo verso un paese sicuro, e che garantisca il rifugio, sono sempre più inesistenti. Per molti, ottenere un semplice visto per visitare qualsiasi paese dell’UE è un processo lungo, doloroso, costoso e quasi impossibile, figurarsi migrare o richiedere asilo. Dal momento che tutti i mezzi legali sono chiusi, i migranti, disperati, sono lasciati di fronte alla scelta di Hobson: imbarcarsi in un viaggio illegale ed estremamente pericoloso, in chiassosi gommoni stracolmi di persone, in alcune delle tratte marittime più letali al mondo.
In risposta a quanto detto dall’ex primo ministro italiano Silvio Berlusconi che una volta chiamò lo “tsunami umano di rifugiati e immigrati clandestini”, l”Europa ha progressivamente militarizzato le acque del Mediterraneo. Negli ultimi anni l’Ue ha investito milioni di euro per sviluppare strategie volte a frenare l’immigrazione indesiderata. Tra le misure adottate, vi sono incluse la distribuzione di unità di polizia per le frontiere esterne dell’Unione europea, la costruzione di barricate e l’utilizzo di tecnologia satellitare per il monitoraggio delle rotte dei rifugiati. Nell’ottobre 2004, l’Ue ha istituito l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea, nota anche con l’acronimo Frontex. Quest’ultima ha il compito di coordinare le operazioni tra gli Stati membri dell’Ue nel campo della sicurezza delle frontiere e a tal fine dispiega diverse navi e imbarcazioni, elicotteri, aerei, radar e telecamere a rilevamente termico, per impedire ai richiedenti asilo e ai migranti di raggiungere l’Europa.
Oggi, ci sono pesanti accuse contro Frontex, la più grave è il mancato soccorso dei barconi di migranti in difficoltà. Tra i vari compiti, Frontex ha la responsabilità di implementare “Eurosur”, un sistema pan-europeo di sorveglianza delle frontiere che si avvale di tecnologie estremamente all’avanguardia pensato per ridurre il numero di migranti irregolari che entrano nell’Ue e abbassare il numero di morti dei migranti irregolari, rintracciandoli in tempo per i soccorsi. Inoltre, molti paesi europei hanno collaborato e collaborano con Libia, Tunisia e altri paesi di transito di migranti, per consentire l’arresto dei migranti utilizzando tutti i mezzi necessari per trattenerli ancor prima di intraprendere la loro traversata verso l’Europa. Con tutte queste misure, in molti trovano difficile credere che i governi europei siano rimasti realmente attoniti, costernati da quest’ultimo evento.
Le misure di sicurezza sempre più incisive e le leggi sui visti sempre più repressive non sono riuscite a scoraggiare rifugiati e migranti, i quali continuano ad affluire verso la Tunisia, paese distante solo 167 chilometri dall’ Europa, e verso altre mete di transito. Anzi, essi continuano a rivolgersi, ed in modo crescente, ai criminali e alle loro reti di sfruttamento, che si mantengono attraverso la disperazione ed il sogno dei profughi di trovare pascoli più verdi nelle terre europee. Sono costretti a fare viaggi insidiosi, a dar fuoco ai loro documenti e bruciare le loro impronte digitali per impedirne il loro riconoscimento, tutti alla ricerca della realizzazione dei propri sogni. Il “modus operandi” della rete criminale è sempre lo stesso: distruggere i motori delle loro navi poco prima di raggiungere la costa europea. Questo rende le navi impossibili da governare, in modo che siano considerati ufficialmente in pericolo, e trainati direttamente in porto. Un espediente che spiega perchè, le barche di passaggio, spesso si rifiutino di soccorrere i migranti. Secondo alcune fonti, persino una imbarcazione Onu non avrebbe prestato soccorso al peschereccio affondato la settimana scorsa al largo della costa di Lampedusa.
Mentre l’Europa ed i trafficanti di esseri umani si dividono le colpe, il peso di queste però grava sui governi africani. Non sconvolge che molti dei migranti e dei rifugiati provengano da paesi in conflitto e fortemente colpiti dalla povertà. Per molti è l’insicurezza, l’assenza dei diritti fondamentali sociali, civili e politici, nonché economici, che li costringe a cercare vie disperate per la fuga. I migranti, di fatto, sono pienamente consapevoli dei rischi a cui vanno incontro, ed il fatto che nonostante tutto essi si cimentino ugualmente in traversate potenzialmente mortali, è una chiara indicazione del livello della loro disperazione. Molti hanno poca o nessuna idea su ciò che li aspetta dall’altra parte. Credono ciecamente alle storie dei trafficanti e di altri migranti africani che raccontano storie sull’Europa e sulle sue strade lastricate d’oro. Di solito, nei loro volti, è la delusione a prevalere quando, e se mai, riescano nell’intento di raggiungere le coste europee.
In risposta alla tragedia di Lampedusa, l’Unione Africana (Ua) ha inviato le sue condoglianze alle famiglie delle vittime. Il Direttore di gabinetto della presidenza della Commissione dell’Ua, Jean – Baptiste Natama, ha sollecitato gli Stati membri dell’Unione Africana ad utilizzare le risorse del continente per creare opportunità che consentano ai giovani di soddisfare nei loro paesi le proprie aspettative di vita. Natama è chiaro in proposito: fino a quando l’Africa non creerà opportunità per i suoi giovani, Lampedusa continuerà ad essere un cimitero di sogni per centinaia di migranti, e non la bella isola con mare cristallino e spiagge bianche come la neve che molti europei conoscono.
Abdul Tejan-Cole scrive da Dakar. Segui Abdul su Twitter @atejancole