Non ho voglia di scrivere molto.
Ho l’impressione che ogni cosa risulterebbe ora ipocrita e un po’ ruffiana.
Quindi lo dico in poche parole e in tutta onestà.
Allione non mi ha mai fatto né detto nulla di male.
Non ricordo quando ho realizzato che fosse davvero un bravo musicista, non subito, credo. Non a 12 anni, quando ho cominciato a suonare con altri modelli di chitarrista per la testa. Ma ne è passata parecchia di acqua sotto i ponti, e non ricordo quando, ma a un certo punto l’ho capito.
E quindi pace, è andata come è andata. Time has gone.
Tra poco c’ho quarant’anni, e ora mi sembra così assurdo, in un paese piccolo come Pinerolo, non avere suonato con lui neppure una volta per sbaglio a una festa, o aver preso da lui anche solo una lezione.
Non è successo e basta.
Ne sono sinceramente dispiaciuto.
Vi risparmio ulteriore strazio e lascio il posto a due piccoli pensieri che ho letto in rete tra ieri e oggi.
Il primo l’ha scritto mio papà sul suo http://lanimadellamosca.tumblr.com/
Il secondo l’ha scritto Andrea Fabbris dell’etichetta Testamusic, amico, musicista, e anche lui, come me, temerario discografico indipendente negli anni duemila.
Per Andrea
di Sergio Catania
tratto dal blog “L’anima della mosca”
Non sopporto il jazz. E, tra i musicisti jazz stimo i batteristi, a volte amo i bassisti, ma trovo insopportabili i trombettisti e i chitarristi. Mi vergogno, ma è così. Mi vergogno, ma in tutti questi anni avrò visto Andrea Allione dal vivo un paio di volte; e l’avrò visto un paio di altre volte in videocassetta, in un qualche festival qui per i monti, come intermezzo tra un gruppo metal e l’altro, che era quello che volevo vedere. Questione di gusti ma non solo: questione anche che mi sono trovato a ridosso di un discreto gruppo di ragazzi che crescevano sotto questa bandiera, disposti a farsi sanguinare le dita pur di rifare un riff di Steve Vai.
Eppure sono testimone che, metal e non metal, se quei ragazzi volevano imparare a suonare la chitarra prima o poi si ponevano la questione. “Allione?” E la risposta era sempre sofferta; perché se rispondevano “Allione sì”, sapevano di correre il rischio di finire da un’altra parte, e se rispondevano “Allione no” sapevano di perdere qualcosa che non avrebbero trovato da nessuna altra parte.Con buona pace di Yngwie Malmsteen e di Steve Vai.
Allione per la generazione di ragazzini chitarristi che ho conosciuto, seguito e qualcuno anche allevato, era come dicono i francesi “incontournable”, inaggirabile: ci dovevi fare i conti, con la sua presenza ma anche con la sua assenza.
E chi l’avrebbe mai detto che sarebbe rimasta così presto quest’unica ultima opzione…
Per Andrea
di Andrea Fabbris
tratto dalla sua pagina Facebook
lo incontrai un pomeriggio di due estati fa all’angolo della farmacia gosso e iniziammo a parlare, sì perché se c’erano due cose dalle quali andrea non si tirava mai indietro erano suonare e parlare. gli proposi di registrare qualcosa insieme e lui accettò di buon grado, ci lasciammo con l’accordo che ci saremmo sentiti non appena avessi focalizzato che cosa fare. nei giorni successivi ci pensai molto e elaborai di registrare una medley di “hear my train a comin'” di jimi hendrix e “folsom prison blues” di johnny cash, approfittando del verso comune. lui alla chitarra e io alla voce, volevo fare qualcosa di sperimentale.
la settimana dopo suonava allo stranamore. ci andai apposta, per parlargli. probabilmente scelsi il momento sbagliato perché lui (poco dopo aver finito di suonare ed essersi fermato al nostro tavolo), voleva parlare d’altro, era eccitato, e forse non sentì neanche quando cercai di introdurgli la cosa. l’entusiasmo mi crollò (lo so, è una delle sfaccettature più negative e deleterie del mio carattere), non parlammo mai più della cosa e tanto meno la registrammo.
ora non la registreremo più, almeno non in questa vita, e io resto con un rimpianto in più da portare nella tomba.
fa’ buon viaggio grande