Lo scienziato dell’Università di Edimburgo non ha mai amato il nome giornalistico di “particella di Dio”, perché, ha spiegato, “sono ateo, e può anche essere offensivo per chi ha fede religiosa”
Peter Higgs, britannico dell’Università di Edimburgo e Francois Englert, belga della Libera Università di Bruxelles, hanno vinto il Nobel per la Fisica per la loro scoperta del bosone che prende il nome proprio da Higgs, la cosiddetta “particella di Dio”. Questa entità subatomica rappresenta, insieme ad altre particelle quali i bosoni deboli W e Z, per i quali nel 1984 lo stesso premio fu vinto dall’italiano Carlo Rubbia, uno dei primi elementi conosciuti nell’Universo, nonché un’importante riprova della teoria del Big Bang.
In pratica, all’origine dell’Universo, ovvero al momento del Big Bang, lo spazio-tempo era interamente occupato da particelle superenergetiche, ma prive della massa che non esisteva ancora. Tutto era energia.
Raffreddandosi l’esplosione iniziale, si formò un campo energetico più denso, che prende anch’esso il nome dello studioso britannico che lo ha teorizzato per primo, ovvero Campo di Higgs. Questo campo era formato appunto dai bosoni di Higgs che comparivano e scomparivano al suo interno. Quando le altre particelle subatomiche attraversavano il campo di Higgs, alcune di esse rallentavano e la loro energia si convertiva in massa – cosa che, come ha dimostrato Einstein con la sua celebre formula, è possibile. Così nacque la materia. In conclusione senza il campo di Higgs tutto il nostro Universo sarebbe stato formato ancora oggi da pura energia. “La massa non è più una caratteristica intrinseca delle particelle – spiega Giovanni Organtini, professore di Fisica alla Sapienza e scienziato dell’Infn sezione di Roma – ma il risultato di un effetto dinamico dovuto all’interazione con un campo, il Campo di Higgs, appunto”.
Organtini è membro della collaborazione Cms, per la quale ha contribuito alla progettazione e alla costruzione della parte del rivelatore che ha permesso l’identificazione del bosone di Higgs al Cern di Ginevra (il calorimetro elettromagnetico, che e’ stato costruito per metà sotto la sua direzione a Roma). É autore di circa 350 articoli scientifici e di diverse pubblicazioni a carattere divulgativo e didattico.
“Il campo di Higgs – ci dice lo studioso – interagisce anche con sé stesso, come il campo elettromagnetico che per questo si propaga sotto forma di onde elettromagnetiche. Interagendo con sé stesso e propagandosi, produce quello stesso fenomeno che produce nei confronti delle altre particelle. Ci appare perciò come qualcosa dotato di massa: il bosone di Higgs. Come tale si può produrre e rivelare in un acceleratore di particelle, che è proprio ciò che hanno fatto gli esperimenti Atlas e Cms nel 2012”. Avvalorando la teoria dei due vincitori del Nobel.
La motivazione del premio a Higgs e Englert di martedì scorso recita infatti: “per la scoperta teorica di un meccanismo che contribuisce alla nostra comprensione dell’origine della massa di particelle subatomiche”. Il Nobel sarebbe certamente stato assegnato anche al fisico Robert Brout, che lavorò alla teoria insieme ad Englert e indipendentemente da Higgs. Purtroppo però Brout è scomparso nel 2011.
L’assegnazione del prestigioso riconoscimento ai due studiosi era attesa: la scoperta del bosone è passata dall’ipotesi scientifica alla certezza proprio grazie al lavoro degli scienziati del Cern di Ginevra ed è stata ufficializzata a marzo di quest’anno. L’acceleratore di particelle della località svizzera ha infatti permesso, attraverso lo scontro di protoni ad altissima velocità, di osservare la particella in questione. Il bosone di Higgs, una volta prodotto, si divide immediatamente in due: l’individuazione di queste sottoparticelle è stata la prova definitiva che esso non è solo una supposizione teorica, ma una realtà che ha aggiunto un mattone fondamentale alla nostra conoscenza dell’Universo.
È piuttosto divertente il fatto che Peter Higgs non abbia apprezzato il nome “particella di dio” che i mass media hanno dato alla sua scoperta. Infatti in un’intervista ha dichiarato che, essendo lui ateo, questa definizione non gli sembrava appropriata, mentre in un’altra sede ha detto che poteva addirittura risultare “offensiva per le persone con fede religiosa”.
Forse però questi studi potranno in futuro avvicinare proprio la scienza e la fede, in quel sapere davvero universale che è già stato teorizzato da alcuni studiosi del Novecento.
Al Cerm di Ginevra hanno lavorato all’Lhc – Large Hadron Collider – l’acceleratore di particelle che ha trovato concretamente il bosone di Higgs circa seimila scienziati, Atlas e Cms, che l’hanno estratto da milioni di particelle in collisione. All’epoca a guidare le squadre erano due italiani, Guido Tonelli e Fabiola Gianotti dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, Infn.
L’Università la Sapienza di Roma ha contribuito in modo rilevante agli studi di Ginevra, come dimostra il lavoro del professor Organtini. All’interno del dipartimento di Fisica operano infatti due gruppi di ricercatori che, insieme a quelli dell’Infn, partecipano sia ad Atlas che a Cms, i due esperimenti del Cern, citati anche nella motivazione del premio, che hanno portato alla scoperta del bosone di Higgs.
Laura Gobbo
Per saperne di più:
Sapienza Università di Roma
http://www.uniroma1.it/notizie/nobel-la-fisica-2013-sapienza-nel-team
http://www.phys.uniroma1.it/fisica/
Cern
Premio Nobel