In Europa si rivede un film vecchio, cadono le braccia e si cerca di immaginare una soluzione possibile. Ma non c’è più un Mario Monti sottomano, come garante con il quale nascondere un po’ di polvere sotto il tappeto. I ricordi tornano al 2011, quando Silvio Berlusconi premier stava lentamente cadendo e portava con se una situazione dei conti pubblici inaccettabile a Bruxelles.
Quella volta però ci fu il tempo di prepararsi, Giorgio Napolitano colse le pressioni europee in favore di Monti e lo creò senatore a vita e poi presidente del Consiglio. Quello fu un commissariamento “soft” da parte dell’Europa e di Bruxelles. Questa volta non c’è un uomo pronto, non c’è neanche una Parlamento pronto. Dal Belgio si vede bene che i parlamentari sono sfilacciati, che comunque vada mancherà una maggioranza solida anche se poco credibile come quella che, per qualche tempo, sorresse Monti. Il professore potrebbe tornare a giocare un ruolo di rilievo, però, se ci sarà qualche transfuga dalle file del Pdl che accoglierà il suo invito. La grande paura qui è che accada quel che l’agenzia di stampa Associated press scriveva ieri sera: “Questa decisione dei ministri del Pdl aumenta e possibilità di elezioni anticipate”.
“Ognuno deve assumersi le sue responsabilità nella politica italiana”, aveva detto appena venerdì il vice portavoce della Commissione europea, Olivier Bailly. Aggiungendo poi la frase di rito, più un ammonimento che una constatazione: “Abbiamo fiducia nelle forze democratiche italiane per assicurare la stabilità politica del Paese, che è elemento altrettanto importante che la sua stabilità economica e finanziaria”. Ieri sera i portavoce erano senza parole. Quello di Olli Rehn, il vicepresidente responsabile degli Affari economici, che proprio pochi giorni fa era in Parlamento a Roma, dice solo che la posizione di Bruxelles è quella espressa da Bailly.
In effetti non c’è altro da dire. Ma c’è una parte non trasparente in quelle parole, che è quella che nasconde l’obbligato commissariamento dell’Italia (almeno finché resterà nell’Ue). Come spiegava a Bruxelles il ministro per le Politiche europee Enzo Moavero dopo un incontro con i suoi colleghi “questa crisi ha reso ben chiaro che quel che accade in un paese ha subito effetto in quello vicino”. Dunque l’Italia deve restare in piedi, e se non lo farà la puntelleranno da Bruxelles, ma senza nessuna delicatezza, a questo punto. Ci sarà un commissariamento di fatto. Nella mancanza di un interlocutore credibile l’unica scelta che resta a Bruxelles per proteggere l’Italia e la zona euro sarà quella di riaprire le procedure di infrazione chiuse “sulla fiducia” prima in Mario Monti e poi in Enrico Letta. Questo vorrà dire, in soldoni, che ogni lira che lo Stato vorrà spendere dovrà essere autorizzata dall’Ue, non ci saranno più margini per fare investimenti per il rilancio e figurarsi tagliare l’Iva o scelte tipo quella di sospendere l’Imu (scelta che fece imbestialire la Commissione). Resterà la soluzione greca: tiare la cinghia, con buona pace dei disoccupati o del sistema dell’istruzione.
Come ha detto qualche giorno fa il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz: “Spero che l’Italia resti stabile perché dalla stabilità dell’Italia dipende la stabilità dell”Europa, ma forse è solo un pio desiderio”.
Lorenzo Robustelli (articolo tratto dai quotidiani Finegil, gruppo Espresso)