“Quando guardò di nuovo la donna, vide riflessi dorati che sembravano moltiplicarsi in silenzi da donna eterna, senza età”. L’autore de ‘Il tango della vecchia guardia’ racconta l’ultimo romanzo
L’amore e il suo divenire nel tempo sono al centro dell’ultimo romanzo di Arturo Pérez-Reverte, Il tango della vecchia guardia, uscito ad agosto per i tipi di Rizzoli con la traduzione di Bruno Arpaia. Pagine intrecciate a brani musicali, a ballate romantiche e nere, a Vecchio Frac di Modugno, al Bolero di Ravel. Ecco come lo racconta lui stesso:
“Per me ogni romanzo nasce da un piano preciso, racconta Reverte, da una struttura portante, è come un treno con dei vagoni, e ogni vagone è diverso dall’altro. Non sono un artista, sono uno scrittore professionista. Conosco le strategie per scrivere un buon romanzo e le applico. Ogni capitolo deve creare suspense nel lettore, e questo effetto è frutto di una strategia, di una pianificazione. Quando ero reporter un guerrigliero mi spiegò che piazzava le mine in modo da attirare i militari verso una radura che sembrava offrire protezione e invece era il luogo dell’imboscata, i suoi uomini aprivano il fuoco con le mitragliatrici. Mi ricordo sempre di costruire delle imboscate per il lettore. Quando i trucchi non bastano allora ricorro ai miei maestri, Dostoevskij o lo sconosciuto scrittore di un fotoromanzo, di un feuilleton. Cerco nella mia biblioteca sterminata, più o meno trentamila libri. Per i libri perdo la testa, una volta anche per le donne, ma ormai è acqua passata. Ci sono autori fondamentali nel corso della vita, poi arriva un momento in cui alcuni non ti dicono nulla di nuovo, mentre con altri continua ad esserci uan magica sintonia. Lord Jim di Conrad l’avrò letto almeno quindici volte, e ogni volta che lo rileggo trovo delle cose nuove. Devo molto a Dumas, Salgari, Verne. Anche altri scrittori devono molto a loro ma non lo confesserebbero nemmeno sotto tortura.
Oggi, a sessantadue anni, preferisco leggere libri di storia, e i classici latini e greci, li trovo terapeutici. I classici sono un analgesico, aiutano a sopportare il dolore. Anche questo si chiama invecchiare.
Non avevo mai scritto una storia d’amore, il mondo dal quale provenivo era troppo duro per una storia d’amore. Non ce la facevo, in vent’anni ho provato diverse volte ma arrivato ad una ventina di pagine mi fermavo. Alla mia vita mancavano quelle stragi sentimentali, quei disastri fisici che si verificano con l’età. Cerco di spiegarmi. La carnalità ha caratterizzato la mia vita, e la silhouette di una donna di vent’anni intravista nella penombra è diversa da quella di una donna di settanta. La domanda è cosa succede all’amore nel tempo, cosa succede ai due che conservano il ricordo di com’erano da giovani. Una domanda che mi interessa a livello personale. Nello stesso tempo credo di scrivere sempre la stessa storia, la storia di Ulisse, di un eroe che ha dietro di sé una città in fiamme, che ha le unghie sporche di sangue e cicatrici sul corpo.
Anche in questo romanzo c’è una partita a scacchi. Sono un giocatore mediocre, forse ho troppa immaginazione, con me basta sedersi e aspettare. Per il piacere di una mossa divertente consegno la vittoria all’avversario. Credo che nel gioco degli scacchi siano rappresentati i misteri della vita. Il re alla fine è l’elemento più debole, la regina ha il massimo potere. La peggior vergogna è che una donna ti guardi con disprezzo, il suo silenzio può essere devastante, se poi, dopo essere stata lungo in silenzio, ti dice, Dobbiamo parlare, il mondo crolla. Anche nel tango chi conduce davvero non è l’uomo ma la donna, è lei che tesse una coreografia molto complessa.
Il mio modo di scrivere è diverso da quello del mio amico Marias, lui si siede e butta giù quello che gli passa per la testa. Questo non significa che nella stesura dei capitoli escluda imprevisti, improvvisazioni. Per esempio, quando ho messo in scena le due spie di Mussolini, la scrittura si è andata modificando, è emersa la mia empatia verso l’Italia, verso il suo sentimento di umanità e compassione che ho imparato ad amare nei film di Vittorio De Sica, un sentimento sconosciuto agli spagnoli. Scrivere romanzi mi consente di vivere delle vite che non ho vissuto. Il prossimo romanzo è ambientato nel mondo dei graffitari. Oltre a studiare e a documentarmi molto, una notte con dei ragazzi di vent’anni ho dipinto un vagone tra i binari morti della stazione di Madrid. Se mi avessero beccato i poliziotti sarebbe stato davvero divertente: Signor Reverte lei qui?
Come fa notare Max nel Tango della vecchia guardia, siamo giovani solo alla vigilia della battaglia, quando ci aspetta una lotta, reale o figurata. Affiliamo la spada, indossiamo la corazza e ungiamo le protezioni di cuoio. Dobbiamo essere giovani per combattere, ma una volta che la battaglia è avvenuta diventiamo vecchi, sangue sulle unghie, cicatrici ricordi. L’unico modo per non restare vecchi è preparasi per un’ altra battaglia, per me ogni romanzo e una nuova battaglia. Quindi non faccio mai lunghe pause, non voglio sentirmi vecchio per troppo tempo.”
(Testo raccolto da Mario Anton Orefice a Pordenonelegge il 21 settembre 2013)