A Pordenonelegge incontri con gli autori e dibattiti sulle politiche linguistiche. La questione delle traduzioni dei versi
Le lingue minori e i dialetti in Europa sono in pericolo, sommersi dalle lingue dominanti, in particolare l’inglese. Ne discutono i poeti del Crossroad of european literature, realizzato da Pordenonelegge in collaborazione con l’Associazione slovena degli scrittori, e il Centro per l’arte di Galway, in Irlanda.
Sessanta poeti si sono avvicendati a Pordenonelegge in lampeggianti reading serali sotto la loggia del municipio. Mentre nell’incontro “L’Europa della poesia” hanno parlato dei molteplici aspetti che caratterizzano la traduzione di un testo, ma anche di politica. Per l’olandesse Erik Lindner è impossibile tradurre ma nello stesso tempo è un’impresa necessaria e ammirevole. Per lo sloveno Andrej Hocevar il successo della propria opera si misura dalla quantità delle traduzioni: l’importante non è esprimersi nella propria lingua ma essere letti. Per Michele Obit, che cita Paul Valéry, tradurre è come tentare di portare la tela del ragno da una stanza all’altra.
Sullo scottante tema del rapporto fra la propria lingua e le lingue dominanti è intervenuto il fiammingo belga William Roggeman: “Per scrivere poesia bisogna lavorare con la lingua, la lingua è il territorio del poeta, un territorio di cui l’Unione Europea non si cura perché è un esempio atipico di utopia. Non pensata da filosofi o scrittori ma da politici impegnati a gestire gli interessi delle banche e delle grandi multinazionali. Una classe dirigente che teme i creatori, i pensatori indipendenti, un consorzio che preferisce che gli idoli della società siano i calciatori e i divi del mondo dello spettacolo. Questa Unione non protegge le lingue minori, non insegna la poesia nelle scuole, predilige una cultura finta dove l’immagine conta più della parola. E’quasi impossibile pubblicare libri di poesia e i poeti non sono quasi mai invitati ai programmi televisivi. Rimpiango il regime comunista: in Cecoslovacchia perlomeno un poeta veniva sbattuto in carcere per le sue idee, il suo lavoro non era indifferente.”
Roggeman, che nell’intervento trascurava il fatto che il progetto europeo a cui partecipa valorizza proprio il suo ambito artistico, ha messo in discussione la definizione di poesia europea. “Il Centro di studi fiamminghi al quale collaboro promuove dei citybooks scritti da letterati provenienti dall’India, dall’Africa, dall’America Latina, non solo dall’Europa. I collegamenti, le relazioni fra poeti non hanno frontiere: lasciamo che ogni poeta possa lavorare nella sua isola linguistica, non geografica, rispetto a quello che accade nel mondo.”