Qualcuno lo ha scritto in passato e l’attualità lo conferma: noi siamo il paese che in mancanza di vittorie celebra le sconfitte. È per questo che nei nostri calendari si ricordano Caporetto, El Alamein e l’8 settembre. Semplicemente perché non c’è niente di meglio da ricordare. Così suona patetico il trionfalismo con cui certa stampa in questi giorni annuncia il recupero del relitto della Costa Concordia come se fosse una grande impresa del genio italiano. Stiamo spendendo 900 milioni di euro per riportare a galla una nave affondata dall’incompetenza, la leggerezza, la cialtroneria e lo sciacallaggio e abbiamo anche la faccia tosta di farcene un vanto. Diventa motivo di orgoglio il numero dei giornalisti accreditati per assistere all’evento come la quantità di materiale utilizzato, i chilometri di cavi, i metri cubi di cassoni e le schiere di operai e di tecnici. Ma a nessuno viene in mente cosa si sarebbe potuto fare con un investimento di 900 milioni, per esempio, nelle nostre ferrovie o autostrade.
Il mondo ci guarda, proclamano i telegiornali: sì, ci guardano riparare il danno che noi stessi ci siamo arrecati in un disastro che più evocativo non si può dell’andazzo di questo paese: una nave festante scagliata al buio contro le rocce. Ecco un’altra deriva dell’informazione spettacolo che gonfia un fatto a dismisura e gli attribuisce valenze che non ha pur di suscitare attenzione. Anche questo lascerà un danno nell’immaginario collettivo italiano e trasformerà con il tempo il naufragio della Costa Concordia in un avvenimento tra l’eroico e il romantico. Con buona pace delle vittime. E dell’informazione. Perché nel chiasso generale nessuno racconta i risvolti giuridici della vicenda, nessuno indaga sul fenomeno del crocierismo che sta distruggendo e inquinando porti e coste e che diffonde un turismo di saccheggio, dove si visitano luoghi come si zappa sulla tv, senza nessun contatto e nessuno scambio con la gente che li abita. Nessuno esplora le vere radici del disastro della Costa Concordia come sono invece raccontate nel grandemente ignorato saggio “Costa concordia: l’altro volto della verità” di Bruno Neri e Alfonso M. Iacono.
Nella foga del trionfo tutti si dimenticano perfino che l’impresa del recupero non è italiana ma è condotta da una ditta americana e guidata da un ingegnere sudafricano. Così, perfino nella nostra più grandiosa disfatta noi non siamo neppure protagonisti, ma solo figuranti.
Diego Marani