Sicuramente non sono sola a pormi tante domande sulla tragedia siriana. Queste domande non riguardano solo la ‘red line’ di Obama, nè la posizione degli gli Stati Uniti e dell’Unione europea sull’intervento militare. Alcuni paesi si sono nascosti dietro al fatto che non c’è un mandato dell’Onu, il precedente degli interventi passati pesa sulle decisioni attuali, la mancanza di prove incontrovertibili per giustificare un intervento e l’assenza totale di un disegno strategico delle finalità di questo intervento sono tali che non mi sembra folle cercare un po’ di onestà morale. Tutte queste argomentazioni dovrebbero essere discusse, non usate come foglie di fico.
Le domande che mi pongo, però, riguardano anche le mie ‘red lines’, ossia quelle di una persona con istinti pacifisti che non traduce in ideologia, pensando che, in generale, il ricorso alle armi può talvolta essere legittimo e necessario. La Siria costituisce uno di questi casi? Fino ad ora ho pensato che si poteva fare di più per prevenire questa ‘escalation’.
Ma, per restare nello spirito del dubbio, questa linea argomentativa ci assolve dall’avere una posizione sull’intervento militare? Penso di no. I pacifisti accusano gli interventisti di ipocrisia, che producono argomentazioni false per giustificarsi e per distogliere l’attenzione dai loro veri obiettivi. Non è egualmente ipocrita sostenere che si sarebbe dovuto fare di più prima? Il problema è cosa fare adesso. Fino a lunedì scorso pensavo che l’idea che la situazione attuale sia conseguenza di police fallite non mi assolveva dal non avere una posizione sull’intervento. Sicuramente non assolve i governi dall’avere una posizione più onesta e chiara, e certamente non assolve l’Ue dal non avere una posizione unita.
Ma la mattina di lunedì 9 settembre, il giornalista italiano Domenico Quirico e il professore universitario belga Pierre Piccinin sono tornati a casa dopo 5 mesi da ostaggi. Erano prigionieri di gruppi ribelli jihadisti. Tra i primi commenti di Quirico ce n’era uno che mi ha colpito: questa non è la Sira di due anni fa. Piccinin, un esperto del Medio Oriente, dice che la loro cattura è avvenuta mentre studiava le dinamiche che hanno portato i jihadisti ad avere la meglio sui ribelli. I rivoluzionari che hanno acceso la primavera siriana sono stati emarginati, questo è evidente da mesi. Il punto è che erano pacifisti, e nei primi mesi della rivoluzione siriana i loro rappresentanti hanno fatto il giro d’Europa alla ricerca di sostegno internazionale. Non lo hanno ricevuto, sono stati criticati perché divisi, perché non avevano una piattaforma comune, perché non rappresentavano l’intera società siriana.
Quindi, dopo tutto, è legittimo sostenere che si poteva fare di più e prima. Invece di parlare della Responsabilità di proteggere si dovrebbe ragionare di più sulla responsabilità di coinvolgersi politicamente, di correre dei rischi e sostenere gruppi politici e della società che si dichiarano impegnati per un dialogo politico, ed esplorare tutte le possibili strade pacifiche. Non sono convinta che questo sia avvenuto. L’Europa e gli Usa hanno lasciato che altri attori, alcuni con interessi partigiani nella regione, potessero influenzare il contesto. Di conseguenza, secondo me non esiste al momento una base morale (né un chiaro obiettivo strategico) per un intervento militare. Possiamo solo sperare che gli altri attori (gli occhi sono puntati sulla Russia), possano terminare il massacro.
Rosa Balfour