Per l’architetto: “Continua a delegare il problema patrimonio all’Unesco, creando fortini del bello”
E su Piano: “Mi chiamò come consulente, ma sono io che ho imparato qualcosa da lui”
@Comodamente intervistati
Franco Zagari è un “affezionato di Comodamente”. La presentazione del suo ultimo lubero “Sul paesaggio. Lettera aperta” si è svolta a Villa San Gottardo, mentre parlava alle sue spalle c’era un bello scorcio del panorama di Vittorio Veneto. La scelta della location non è stata certo casuale, Zagari è la voce più autorevole in Italia quando si parla di paesaggio, un concetto che in quanto disciplina ancora fatica a imporsi. “Da un punto di vista disciplinare il paesaggio è una cosa non ben definita, siamo legati alle impostazioni di architettura e urbanistica. La differenza di fondo è che il progetto di paesaggistica si occupa più di relazioni che di oggetti. Si occupa di sistemi, flussi e attività. Mira a creare sistemi di orientamento, cercando una nuova centralità. Il suo è un punto approccio diverso”
L’Italia ha qualcosa da imparare dall’Europa?
“Nel nostro Paese c’è qualche grande autore. Quando Renzo Piano mi ha chiamato come consulente per l’Auditorium di Roma, quello dei due che ha imparato qualcosa sono stato io, il landscaper era lui. Mi ricordo che gli architetti romani fecero una fatica terribile ad accettare che i tre coleotteri, le coperture della struttura, potessero avere la stessa forma in proporzioni diverse. Di solito si è abituati a canoni basati solo su numeri e codici. Invece bisogna dare importanza alla comunità, far confluire diversi saperi e pareri”.
La tutela dell’ambiente è un argomento affermato, quella del paesaggio ancora no.
“L’ambiente è qualcosa che viene sempre analizzato in termini materiali, questo è un limite enorme, un errore. E così molti cantieri di salvaguardia ambientale sono catastrofici. Con le stesse risorse si potrebbe fare un progetto che risolva i problemi ambientali ma abbia anche una impostazione estetica. Bisogna mettere al centro la bellezza, essa deve essere il fine primo del progetto. Ma all’intento di un mandato partecipato, non di un capriccio dell’architetto. Non sono argomenti su cui si possa delegare”.
Nel dibattito lei ha detto che l’Ue ha fatto molto per l’ambiente. Non potrebbe fare qualche cosa anche per il paesaggio?
“Sono sconsolato, le istituzioni europee sono molto tecnocratiche, cioè i problemi di sostenibilità dell’ambiente sono visti in base a prerogative solo quantitative. Quando si passa al patrimonio si passa a una tecnocrazia conservativa, che poi è reazionaria. All’abuso dei siti Unesco, e così vediamo un paesaggio fatto di arcipelaghi, fortini, isole di qualità e poi il ‘fuori’, il resto del mondo. Ma il resto del mondo ci spazzerà via. È come le invasioni barbariche, non possiamo tentare di difenderci dentro dei recinti, dobbiamo avere delle proposte”.
Secondo lei quindi l’Europa ha uno sguardo lungo sull’ambiente e corto sul patrimonio?
“L’Europa uno sguardo sul patrimonio semplicemente non lo ha, lo delega all’Unesco. Secondo loro il problema della qualità estetica rientra solo nel patrimonio. Per carità l’Unesco è una cosa benemerita ma non è la soluzione al problema”.
Alfonso Bianchi