Colonna sonora: Armando Trovajoli – Canto de Angola
Sembra ieri che sciamavamo urlanti dal cortile sotto l’implacabile pioggia di gavettoni dei ragazzi più grandi ed in un soffio l’estate è già passata.
Soffio d’estate, venti di guerra, ma questa è una rubrica soft e le cose brutte le lascio al resto del giornale.
Concentriamoci su di noi, sui nostri grembiulini inamidati, davanti al cancello di scuola a mostrarci le foto delle vacanze formato smartfon, gareggiando con le abbronzature, ritrovando i flirts autunnali ed elencando tutti i buoni propositi per l’anno nuovo (il vero capodanno è a settembre: l’altro è solo una trovata dei produttori di lenticchie e cotechini), tanto per ingannare la nostra povera coscienza. Vado in palestra, mai più cibi grassi, faccio un corso di lingua o informatica o cucina o gnu economi, smetto di fumare, smetto di bere, smetto di fare la mano morta sull’autobus, aiuto gli anziani ad attraversare la strada, senza poi rubargli la pensione… sarò una persona migliore.
Poi la campanella suona, il cancello si apre, il custode ci chiama ed il tran tran rientra nella rutìn, in un lup di dejà vu, e l’unica cosa che conta sarà la ricreazione.
——-
Anche quest’anno partenza intelligente, ma rientro stupido.
La fuga di cervelli è avvenuta al contrario: il mio corpo ed io abbiamo lasciato l’Italia per ritornare nel produttivo Fuckin’ Nordeuropa, mentre il cervello ha deciso di restare a suonare il mandolino sotto o’ sole. Gli ho detto che su farà anche freddo ma la qualità della vita è migliore e non esistono solo lavori precari. Mi ha risposto che la precarietà fa parte del folklore italiano, tanto che ultimamente anche le legislature sono praticamente a progetto.
Se Apicella non vince il festival di Sanremo facciamo cadere il governo, ma questa è una rubrica soft e le cose brutte le lascio al resto del giornale.
Volevo parlare del viaggio migratorio da Roma a Bruxelles, con l’auto carica di olio vino salumi amari pasta caffè, attraversando province, regioni, stati, stati d’animo, stati non riconosciuti (Padania libera! No, scherzo), paradisi fiscali (due, molto diversi: nel primo devi pagare 40 euro e ti danno il resto in monete utilizzabili solo al suo interno, nell’altro l’autostrada è gratis e sigarette benzina ed alcool hanno prezzi più bassi); trafori, tunnel, gallerie, che in effetti sono sinonimi ma danno l’idea della lunghezza estenuante di questo viaggio.
Volevo parlare delle mille riflessioni annotate in auto proprio per questa rubrica, tipo la democraticità degli autogrill, dove allo stesso bancone o lavandino, ricchi e poveri si ritrovano forzatamente vicini, riscoprendosi simili nella loro basica umanità (caso estremamente raro, in periodo di turné estive, si possono anche incontrare i Ricchi & Poveri); o della Francia che ha i colori invertiti, cioè i segnali per l’autostrada in blu e quelli per le statali in verde; o del paesaggio che cambia continuamente tra montagne, pianure, colline, laghi, fino ad appiattirsi nella monotonia del Benelux, col conseguente effetto di abbassamento del cielo (grigio), ed il dubbio che ad un certo punto la macchina possa rimanere incastrata in questa morsa.
Di questo volevo parlare, e forse l’ho fatto, ma ora devo chiudere il cerchio e quindi parcheggiare la macchina. Magari proprio davanti a scuola, dove sta suonando l’ultima campanella prima della nota sul registro.
La voglia di non entrare è tanta, ma scappare è da vigliacchi, e più che altro ormai la prof. di lettere m’ha visto.
Buon anno nuovo a tutti quanti, se mi cercate sono qui.
O dietro la palestra, a ricreazione.
Francesco Cardarelli