di Irene Giuntella
In Belgio165.000 persone hanno la cittadinanza italiana. Nel nostro Paese, però, poco si sa delle vite dei minatori partiti per lavorare nelle miniere belghe, degli operai, ristoratori o delle persone in cerca di un “Eldorado” o di una ”American Land” tra gli anni 50’ e 70’ in Belgio. E di chi oggi ha ripreso a emigrare per le stesse ragioni: un lavoro.
Arrivate a Bruxelles per motivi di studio e di nuove opportunità lavorative, è stato impossibile non entrare in contatto con i vecchi e nuovi emigrati italiani. Sui tram, nelle strade della città le voci italiane si sentono in continuazione, le associazioni, i circoli, gli eventi, i luoghi di incontro della comunità italiana sono tanti. Dopo alcuni mesi, anche noi, abbiamo bisogno di ricreare dei punti di riferimento per rimanere in contatto con il nostro Paese.
La curiosità di ascoltare le storie di quanti prima di noi hanno lasciato l’Italia in cerca di una speranza: prima per lavori manuali e oggi per professioni più intellettuali, ci ha portato a conoscere le vite di queste persone, a riconoscerci nei loro stessi dilemmi tra l’attaccamento al proprio Paese e l’integrazione in un nuovo Stato con tutto quel che comporta. Da qui è partito il nostro breve video documentario, inizialmente doveva essere solo il progetto finale per la scuola di Giornalismo europeo a Bruxelles. Non è stato però solo un compito finale, anche noi, in qualche modo, siamo migranti.
Telecamera alla mano insieme a Francesca Polistina e Valentina Pavarotti siamo partite per il nostro mini tour verso i principali luoghi e simboli dell’emigrazione italiana in Belgio.
Qui abbiamo incontrato Urbano Ciacci, ex minatore emigrato negli anni 50’ grazie all’accordo tra il Governo Italiano e Belga: scambio di forza lavoro contro carbone. Ciacci ha passato una vita in miniera lavorando otto ore al giorno senza alcuna sicurezza, ma lui si dice, tutto sommato, contento perché a quei tempi in Italia non c’era proprio lavoro.
Per un giorno è scampato alla tragedia della miniera di Marcinelle a Charleroi “Le Bois du Cazier”, dove sono morte 262 persone di cui 136 italiani l’8 agosto del 1956. In diversi incidenti e crolli sono morti altri 600. In quegli anni partirono dall’Italia 140.000 lavoratori, 18.000 donne e 29.000 bambini.
Proseguendo nei nostri giri siamo arrivate a Mons dove siamo state accolte dal Circolo Sardo in Belgio “SU-NU Raghe” intitolato ad Antonio Gramsci. Alle pareti un cartello: “Bienvenue en Italie”. Ottavio Soddu, presidente del circolo ed emigrato negli anni 70’, ci ha raccontato che nella zona di Mons c’è una grande comunità sarda: dagli anziani emigrati nel dopoguerra fino agli ultimi arrivati e alle seconde e terze generazioni appena arrivate dalla Sardegna. Le tradizioni, la cucina, un gruppo folk sardo continuano a tramandarsi anche in Belgio. “Le radici non vanno mai dimenticate pur rispettando le regole del Paese accogliente ” è la riflessione di Soddu che nasce dal confronto tra la propria storia e le nuove migrazioni. Si è fatta sera, abbiamo declinato l’invito per un porcellino sardo e la festa della comunità per rientrare a Bruxelles.
Tornando in città abbiamo incontrato Luisa Bongiovanni, dell’associazione “Le donne di Laeken” , lei è nata in Belgio da genitori italiani. Ci ricorda i pregiudizi subiti da bambina, le discriminazioni, le condizioni di estrema povertà in cui vivevano gli italiani. I bambini italiani non potevano giocare con i bambini belgi. Nessuno voleva affittare le case agli italiani.
“Qui non possono entrare né gli animali né gli italiani” era uno dei cartelli frequentemente affissi nei locali o nei negozi.
Ad Anderlecht, altro quartiere italiano, abbiamo conosciuto Teresa Butera, presidente del CASI-UO- Università Operaia. Teresa è emigrata dalla Sicilia negli anni 70’ in cerca dell’Eldorado belga di cui le parlavano sempre gli zii quando tornavano in vacanza in Italia. Ma arrivata a Gare du midi si è subito resa conto che per gli italiani la vita non era solo di cioccolatini, birre e feste: “Si viveva in una stanza ammucchiati in quartieri poveri lavorando come operai e pagati meno dei belgi”.
Punto di riferimento e occasione per la formazione dei lavoratori italiani è stata “l’Università Operaia”. “ La sera- ci ha raccontato Teresa- leggevamo gli articoli di giornale di diversi orientamenti, discutevamo di attualità, di storia, di filosofia”.
La grande ondata migratoria italiana ha influenzato il Belgio nell’architettura, nel modo di condurre le lotte e le rivendicazioni sindacali, oggi il Paese ha persino un Premier di origini italiane: Elio Di Rupo.
Le migrazioni non sono finite. Negli ultimi anni, complice anche la crisi, migliaia di giovani italiani sono arrivati in cerca di lavoro. Questa volta sono giovani altamente qualificati, in cerca del riconoscimento della meritocrazia, di stage retribuiti, di opportunità di lavoro che per i giovani in Italia sono quasi inesistenti.
Così abbiamo incontrato i “Giovani Italiani a Bruxelles”, un gruppo di ragazzi nato spontaneamente che continua ad attirare l’attenzione dei media e del governo italiano sulla disoccupazione giovanile e la mancanza di opportunità nel nostro Paese. Il problema dell’identità è ciò che sembra accomunare tutti, vecchi e nuovi immigrati. Alcuni continuano a sentirsi italiani e a seguire le vicende politiche pur essendo lontani dal Paese da moltissimo tempo ormai , altri si definiscono belgi o italo-belgi.
Qualcuno della terza generazione si considera italiano vantando le proprie origini pur essendo nato in Belgio e parlando solo francese.
“Dopo quarant’anni però si deve pur scegliere da che parte stare, se essere belgi o Italiani”. Ci ha confidato Butera.
È proprio interrogandoci su questo misto di identità, origini e integrazione che è nato il nostro progetto: “Italians , Belgians or Europeans?”, un video che in autunno, in versione integrale, verrà proiettato a Bruxelles.. Ci chiediamo se iniziare a definirsi europei potrebbe superare la difficile condizione psicologica degli emigrati all’interno della Ue, nel sentirsi a metà tra due Paesi, due culture, due cittadinanze, due case.
L’emigrazione non è solo una materia di dati e statistiche, ma è fatta anche di storie, vite, sentimenti e una difficile integrazione.
Sono questi sentimenti che si esprimono nella colonna sonora che accompagna i racconti : “American Land” di Bruce Springsteen ricorda le speranze dei minatori partiti dall’Italia, Il “Cantu Sicilianu” di Roy Paci e la “Tammuriata Nera” della Nuova Compagnia di Canto Popolare riprendono le tradizioni popolari e le proprie origini, “ Lampedusa” dei Sud Sound System chiude il video per ricordare che siamo tutti popoli migranti.
Irene Giuntella