Secondo il tribunale di Lussemburgo la normativa italiana che fissa limiti orari di affollamento pubblicitario più bassi per i canali a pagamento è conforme al diritto dell’Unione
Le tv a pagamento possono avere limiti sugli spot più rigidi di quelle in chiaro. La legislazione italiana sull’affollamento pubblicitario lo ha stabilito, la Corte di Giustizia Ue oggi conferma la legittimità della norma. “In linea di principio è conforme al diritto dell’Unione” ha stabilito la Corte di Lussemburgo, anche se deve essere rispettato un criterio di “proporzionalità”.
A portare il tema sul tavolo della corte europea il ricorso di Sky Italia contro Agcom che aveva inflitto alla tv di Murdoch una multa per avere superato l’affollamento pubblicitario fissato per le emittenti televisive a pagamento. Il tetto, imposto nel 2005 dal governo Berlusconi, è stato poi assorbito nel 2010 dal decreto Romani.
Nel 2011, Sky ha superato il tetto orario del 14% di pubblicità imposto alle pay tv dalla stessa norma che prevedeva invece una soglia al 18% per le emittenti private in chiaro, come Mediaset. Dall’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni è arrivata la conseguente sanzione, ma Sky non si è rassegnata e ha impugnato la delibera dinanzi al Tar del Lazio, lamentando l’incompatibilità della normativa italiana con il diritto dell’Unione, che prevede un limite di affollamento orario del 20%.
Oggi la Corte risponde che la direttiva europea fissa “prescrizioni minime” ma che gli Stati “conservano la facoltà di prevedere norme più particolareggiate o più rigorose e, in alcuni casi, condizioni differenti purché conformi al diritto dell’Unione”. Insomma, la normativa italiana non costituisce una violazione delle regole europee. Il tribunale europeo ricorda anche che il principio di fondo deve restare quello di proteggere in modo equilibrato da un lato gli interessi finanziari degli emittenti e dall’altro quello dei telespettori: “Questo equilibrio varia in funzione del fatto che le Tv trasmettano i loro programmi a pagamento oppure no” ed è quindi possibile per il legislatore nazionale fissare limiti orari diversi per le Tv in chiaro e quelle a pagamento.
Lussemburgo ammette infine che “la normativa italiana potrebbe costituire una restrizione alla libera prestazione dei servizi” ma dichiara anche che “la tutela dei consumatori contro gli eccessi della pubblicità commerciale costituisce un motivo imperativo d’interesse generale che può giustificare riduzioni alla libera prestazione dei servizi”.
L. P.