Da quando l’esercito ha defenestrato il 4 luglio Mohammed Morsi, il primo presidente democraticamente eletto in Egitto, è nato un dibattito non solo tra i maniaci della politica estera europea, sul quale sarebbe stata la risposta migliore da parte dell’Ue e degli Stati Uniti. Durante la scorsa settimana l’Alto Rappresentante dell’Unione Catherine Ashton ha rilasciato una serie di dichiarazioni esortando le parti ad evitare il confronto violento, condannando le violenze, e poi chiedendo un dialogo inclusive tra le varie parti politiche, più o meno in questo ordine. Un elemento mancante in queste dichiarazioni era la richiesta che Morsi e i suoi colleghi siano rilasciati – una questione su cui mi soffermerò più avanti.
Ad essere onesti, l’Unione era coinvolta sin dall’inizio della crisi e il suo Rappresentante Speciale per il Mediterraneo, Bernardino Leon, era al Cairo alla ricerca di una soluzione dialogando con tutte le parti in causa. Ad essere ancora più onesti, l’Unione aveva ripetutamente avvertito, in modo riservato e dietro le quinte, il Presidente e rappresentanti della Fratellanza che escludere le altre parti politiche non era una scelta saggia. Oggi, con l’ambizione di essere un’affidabile mediatrice, l’Alto Rappresentante Catherine Ashton è al Cairo per vedere se le sue doti – provate – di mediatrice possono essere utili in Egitto.
Fino ad ora gli sforzi dell’Unione sono stati inutili: il dialogo tra l’Unione e le forze islamiste che sono emerse nel corso dell’anno scorso non hanno avuto successo. La domanda sarà se questo riflette incapacità europea di dialogare con I ‘nuovi’ attori politici (una delle sfide più importanti per l’Ue dopo la primavera araba) o se è una conseguenza del fatto che questi attori sono totalmente disinteressati nelle posizioni europee.
Comunque sia, c’è una domanda che Catherine Ashton dovrà tenere a mente: perché mai la Fratellanza musulmana dovrebbe fidarsi dell’Unione se questa non chiede il rilascio di Morsi?
Nel frattempo, a Bruxelles e a Washington il dibattito è sul come definire gli eventi al Cario: un colpo di stato? Nel caso, l’Ue e gli Usa dovrebbero dirlo esplicitamente? Non si tratta semplicemente di un dibattito semantico. Anzi, si tratta semplicemente di un colpo di stato. Ma fino alla settimana scorsa mi sono chiesta se l’evitare di chiamare il colpo di stato un colpo di stato fosse una furba mossa tattica. In questo modo, gli Stati Uniti e l’Unione potevano tenere la porta aperta per dialogare con l’esercito, possibilmente influenzandolo a ritornare sul fragile percorso democratico iniziato due anni fa, indire elezioni al più presto, e ricominciare il dialogo politico con tutti i gruppi e partiti politici.
Ma oggi è altrettanto chiaro che gli stati membri sono, semplicemente, divisi. Questo non dovrebbe sorprenderci, vista la storia delle relazioni dell’Ue con questa parte del mondo. Gli stati membri sono d’accordo su tutti i punti sollevati dalla Ashton la settimana scorsa: nessuna violenza, dialogo inclusivo con tutti I partiti, elezioni anticipate. Gli stati membri chiedono anche il rilascio dei detenuti politici. Ma non chiamano queste persone per nome e cognome.
Perché? Purtroppo, l’interpretazione più vicina alla realtà è la più semplice. Dimentichiamo le tattiche e i mezzi per arrivare al dialogo. Ci sono più paesi membri che non amano i partiti islamisti, non credono che questi possano essere veramente democratici (concedo che la Fratellanza musulmana abbia dimostrato proprio questo), e sono nostalgici dei bei vecchi tempi in cui l’esercito, con Mubarak, proteggeva gli interessi commerciali e la sicurezza regionale da questi creatori di problemi.
Ancora una volta gli stati membri sono divisi; ancora una volta interpretazioni sempliciste della regione si scontrano con le aspirazioni democratiche di lungo period. Buona fortuna, Lady Ashton!
Rosa Balfour