Giovani provenienti da tutta l’Europa sono scesi in piazza di fronte al Parlamento Ue per protestare contro le retribuzioni troppo basse e gli sbocchi occupazionali inesistenti
Non sono più studenti, ma non sono ancora lavoratori. Non sono alla prima occupazione, ma non hanno anni di esperienza alle spalle. Non lavorano gratis, ma nemmeno possono sognarsi di mettere qualcosa da parte. Rimangono intrappolati nella zona grigia. Per settimane, mesi. Sempre più spesso per anni. Chiamateli un po’ come volete: stagiaire, borsisti, tirocinanti. La sostanza non cambia. C’è un esercito là fuori: giovani con lauree a pieni voti, esperienze in mezzo mondo, lingue straniere parlate correntemente. Potenziali lavoratori qualificatissimi, che non riescono a ottenere altro che proposte di stage di qualche mese. Una dietro l’altra.
Bruxelles vive di questo. In una città che ruota attorno a istituzioni europee, Ong, think thank e lobby, gli stagisti, oltre duemila, sono una forza lavoro di cui molte realtà non potrebbero fare a meno. Una sorta di città nella città fatta di chi arriva e chi parte (e in pochi fortunati casi di chi resta) che però sta cominciando a manifestare profondi segni di insofferenza. Va bene l’opportunità di fare esperienza nel mondo del lavoro, va bene la fortuna di farlo nel cuore dell’Europa, ma lavorare per pochi spiccioli, a volte addirittura gratis, e sapendo già che non esistono prospettive reali di sbocchi occupazionali, a lungo andare stanca.
Per questo i tirocinanti della capitale belga si sono riuniti questa mattina in Place Luxembourg, proprio sotto le finestre del Parlamento Europeo, per fare sentire la loro voce contro condizioni di lavoro che definiscono “ingiuste”. “Sandwich protest” l’hanno chiamata, perché “chi si ricorda l’ultima volta che abbiamo mangiato qualcosa che non fossero panini?”.
“Conosco ragazzi che vivono e lavorano a Bruxelles per duecento euro al mese”, racconta uno degli organizzatori, Victor Garcia Bragado, 26 anni, spagnolo. “Ma non sono solo le retribuzioni: protestiamo per le ore di lavoro e perché lo stage sta perdendo il suo ruolo educativo per diventare solo un’occupazione malpagata e non regolare”. Per esperienza personale, Victor che è al secondo stage (di cui uno in Commissione) crede che un tirocinio per potersi definire equo, dovrebbe prevedere “un contratto scritto, una retribuzioni minima intorno ai mille euro e un piano di lavoro concordato a inizio stage sulle mansioni da svolgere”. E poi tutti dovrebbero avere le stesse opportunità: anche chi non ha l’appoggio della famiglia o del proprio Paese, spiegano gli organizzatori, dovrebbe poter essere messo nelle condizioni di poter svolgere uno stage.
Tra chi arriva convinto, chi portato da amici e chi passa per puro caso e si ferma a dire la sua, in piazza arrivano almeno un centinaio di persone. “Pensavamo di essere una ventina quando abbiamo lanciato l’idea – ammette Gervase Poulden, dalla Gran Bretagna – ma ci siamo accordi di quanti siamo e quanto sia sentito il problema”. Forti del risultato di oggi, promettono che questo non è che l’inizio: un altro evento è in preparazione per novembre mentre la rete continua a rafforzarsi sui social network.
Anche l’appoggio politico intanto comincia a formarsi. Lo Youth Intergroup del Parlamento europeo (un gruppo di eurodeputati che lavora per rafforzare le politiche giovanili) invia una lettera per appoggiare l’iniziativa contro “stage troppo spesso di bassa qualità, che non garantiscono l’ingresso nel mercato del lavoro e che si trasformano in semplice lavoro non pagato”. La giovane eurodeputata francese dei Greens, Karima Delli si unisce addirittura alla manifestazione e dal palco improvvisato, incita i ragazzi: “Sono qui per dirvi bravi, gli stagisti non sono difesi da nessuno, siete voi che vi dovete difendere” alza la voce: “Non avete diritto a contributi sociali, a garanzie, a un salario minimo. Bisogna che sappiate la verità: sono due anni che il Parlamento europeo lavora a una carta di qualità per gli stagisti. Questa carta è pronta ma la Commissione con Barroso non vuole farla uscire. Bisogna fare rumore: serve veramente un quadro generale obbligatorio. È in gioco il vostro avvenire” conclude tra gli applausi.
A Place Luxembourg ci si lamenta in ogni lingua, italiano compreso. Silvia ha 29 anni, una laurea in economia con 110 e lode, ha vissuto in Italia, Francia, Belgio ed è al suo quarto stage. Lei è tra i fortunati, quelli che sono riusciti a “vincere” l’opportunità del tirocinio in Commissione europea, retribuito con ben mille euro al mese: “Anche così non riesco a mettere da parte nulla e lo stage non è utilissimo, perché si sa già che non c’è alcuna possibilità di rimanere” racconta. Tra poche settimane questa tornata di stage finirà. E poi? “Mi piacerebbe rimanere a Bruxelles – continua Silvia – ma so già che l’unica possibilità sarà cercare un altro stage”. Lo stesso vale per Enrico, 28 anni, una laurea in Relazioni internazionale e tre stage alle spalle, di cui due in Belgio: “Proverò a cercare un altro stage, ma magari in qualche associazione o Ong dove vedo prospettive di rimanere”. Una bella scommessa, visto che uscendo dai canali degli stage “istituzionali” in Commissione o Parlamento (dove si arriva anche a 1.200 euro al mese) le retribuzioni calano vertiginosamente: “Gli stagisti atipici hanno rimborsi di 300-400 euro, massimo 700” fanno i conti gli stagisti. Tant’è. Questo per ora passa il convento. Ci si indigna, si protesta. Ma poi difficilmente si riesce a dire di no davanti alla possibilità, per quanto remota e sottopagata, di entrare in un mercato del lavoro sempre più blindato.
“Stage non pagato = schiavismo del ventunesimo secolo”, scrive qualcuno sul cartellone dove ognuno può lasciare una sua riflessione. “Lavoro non pagato durante il giorno, secondo lavoro poco qualificato la sera e nei week end” racconta qualcun’altro. “Ho paura che quando mi sarò laureato continuerò a fare stage dopo stage senza l’opportunità di un vero lavoro”, riassume tutte le preoccupazioni un’altra scritta. Ci sarà da mangiare panini ancora per un bel po’.
Letizia Pascale