Intervista con il presidente dell’IMED – Istituto per il Mediterraneo, di ritorno da Tunisi
“Nell’Ue manga una visione complessiva dei problemi e una strategia per risolverli”
La politica europea verso gli stati del Mediterraneo del Sud ha avuto un’apparente svolta nel 1995 con il processo di Barcellona, che ha visto finalmente seduti intorno a un tavolo i capi di governo europei, nordafricani e mediorientali per la creazione di un’area di libero scambio in tutto il bacino del Mediterraneo. A questo accordo sono seguite la Politica Europea di Vicinato o PEV del 2003 e l’Unione per il Mediterraneo o UPM del 2007. Oggi, con la Primavera Araba, il ruolo dell’Unione in questa zona dovrebbe essere di fondamentale importanza, invece risulta ancora troppo debole e incerto. Il presidente dell’Istituto per il Mediterraneo Andrea Amato ci spiega perché, e cosa dovrebbe fare l’Europa per migliorare la situazione attuale nell’area.
Nel suo articolo “Una relazione difficile” lei afferma che il Processo di Barcellona, varato nel 1995 per l’integrazione dei paesi sulle due sponde del Mediterraneo ha preso in conto solo la dimensione di mercato, mentre ha ignorato l’integrazione economica e quella territoriale. Lei ravvisa un limite in questa impostazione e perché?
La dichiarazione di Barcellona del 1995 effettivamente aveva creato molte aspettative, più che altro per il suo significato simbolico. Per la prima volta tutti i capi di stato europei si trovavano insieme a quelli del bacino del Mediterraneo, Siria e Israele compresi. Purtroppo però in politica quello che conta sono gli impegni concreti e l’unico impegno concreto preso a Barcellona è stata quest’area di libero scambio bilaterale fra l’Europa e i singoli paesi. Il limite di questa impostazione è che non solo ha ignorato, ma ha addirittura intralciato lo scambio economico dei paesi del Mediterraneo fra di loro (scambio intramediterraneo). Ad esempio il commercio fra gli stati del Maghreb rappresenta solo il 4% del commercio totale di quei paesi verso l’estero. Non c’è stato alcun incentivo per questo scambio Sud-Sud. Inoltre, anche a causa di Barcellona, l’intera struttura produttiva di questi stati si è modellata unicamente per l’esportazione verso l’Europa. Un secondo limite è stato che le attese di Barcellona erano anche di tipo politico. Era l’Europa che si costruiva un’area regionale come contrappeso alla globalizzazione. Questa promessa è stata fondamentalmente mancata, perché non si costruisce un’area regionale solo con il libero scambio. Per la creazione della regione Euromediterranea ci vogliono la dimensione economica, la dimensione dello sviluppo territoriale basato sulla prossimità e quella strategico-politica. La zona del Mediterraneo è stata invece egemonizzata dagli Stati Uniti, che non hanno più fatto mettere bocca all’Europa su nessuna questione mediorientale.
Una domanda sull’Italia come stato europeo e mediterraneo in particolare: i 2 miliardi di euro del “Programma Attrattori Culturali 2007-2013”, destinati a migliorare l’offerta culturale nelle Regioni del Sud Italia non sono stati spesi e dovranno essere restituiti a Bruxelles. A questi si aggiungono gli 1,5 miliardi di fine 2011. Tutto questo proprio mentre il nostro patrimonio cade a pezzi. A cosa è dovuto lo spreco di questi fondi e cosa possono fare l’Italia e l’Europa per far sì che gli stanziamenti di Bruxelles a favore del nostro paese siano utilizzati correttamente per produrre ricchezza e salvaguardare il patrimonio storico-culturale?
Il limite dell’UE con i fondi strutturali è stato dare all’Italia solo aiuti finanziari, che sono serviti a poco nel Mezzogiorno. In quell’area sarebbe stata più utile una politica che invertisse il drenaggio che avviene sull’economia a causa della bilancia commerciale. Noi italiani non riusciamo a spendere nemmeno quei – relativamente – pochi soldi perché, nonostante quello che ha fatto il ministro Barca in questo senso sotto il governo Monti, scontiamo un’incapacità storica della amministrazioni locali nel gestire i fondi europei. Poi c’è stato il problema del patto di stabilità: quando vengono erogati dei fondi UE per zone depresse del paese, una parte dei soldi li dovrebbe mettere lo stato italiano. Invece è stata l’Europa stessa che ha impedito al nostro stato di versare la sua parte dei fondi, con il patto di stabilità, e quindi i soldi alla fine sono rimasti tutti lì. Non c’è dubbio che, come ho detto, ci sia anche un problema interno italiano. Ma c’è questa evidente analogia fra noi e il Maghreb: l’assenza di unità politica dell’Europa danneggia non solo gli stati del Mediterraneo, ma anche l’Italia. Se ci fosse l’Europa unita gli stati del Sud non dovrebbero subire l’austerità, che li ha condannati a una recessione che ci vorranno vent’anni per venirne fuori. E poi sono anni che si chiede da più parti che la BCE funga da prestatore di ultima istanza e che la BEI possa emettere gli Eurobond. L’Ue è oggi egemonizzata dalla Germania perché sconta il vizio che non si è mai fatta l’Europa politica.
Per quanto riguarda invece gli stati del Nord Africa, nei primi dieci anni della Politica Europea per il Mediterraneo essi hanno visto uno scarso aiuto da parte dell’Europa. Il totale dei fondi elargiti nell’intero decennio all’insieme di questi paesi è stato, per fare un esempio, la metà di quanto gli Stati Uniti hanno fornito al solo Egitto. Ritiene che l’UE debba impegnarsi maggiormente sul fronte degli aiuti economici verso questa zona e perché?
L’impegno finanziario dell’Europa verso gli altri stati del Mediterraneo è risibile, ma la vera questione non è tanto quella degli aiuti economici, quanto quella di una politica di convergenza. In pratica dovrebbero cambiare le politiche economiche, sia da noi che da loro. Che senso ha che l’Europa dia gli aiuti al Nord Africa, se poi con gli scambi commerciali e con gli interessi del debito che questi paesi hanno nei nostri confronti glie ne toglie dieci volte di più?
Secondo il suo parere la Politica Europea di Vicinato – PEV, lanciata nel 2003 per comprendere un cerchio di paesi amici fra cui tutti quelli del Mediterraneo e i confinanti dell’Est, – e l’Unione per il Mediterraneo – UPM del 2007 – hanno peggiorato le cose perché troppo eurocentriche e con politiche troppo differenziate fra uno stato e l’altro. Sotto la presidenza Sarkozy la Francia ha assunto un ruolo di leader di questa seconda istituzione, creando una serie di squilibri. Come sono cambiate queste due istituzioni negli ultimi anni, e com’è ora la politica francese verso questi stati con Hollande?
L’UpM è stata un’invenzione di Sarkozy, con il vizio di fondo che non si trattava di un’istituzione comunitaria, in cui è l’UE a rappresentare gli Stati Membri, ma bensì intergovernativa. Ma questo tipo di intese non possono riuscire se non c’è un soggetto sovranazionale forte e in grado di mediare fra le parti in conflitto, come per esempio fra israeliani e palestinesi. Hollande ora si trova nella posizione di dover rimediare agli errori della politica precedente. Questa mania di grandeur di Sarkozy, che ha creato questa Unione per il Mediterraneo con doppia presidenza sua e di Mubarak, è proprio il genere di politica che la Primavera araba ha denunciato come antidemocratica. L’Europa, anche a causa di questa impostazione, viene ancora accusata di aver appoggiato regimi dittatoriali in Nord Africa. Venerdì 5 luglio Hollande era a Tunisi proprio per cercare di rimediare a questa spiacevole situazione. Non può essere più permesso che ogni stato europeo abbia una propria politica personale verso l’Africa. La Francia in Tunisia dopo la caduta di Ben Alì è stata messa al bando per il suo appoggio al dittatore ed è stata soppiantata dalla Germania. Ecco un altro esempio di come scontiamo ogni giorno la mancanza di unione politica in Europa. È ora che l’Unione Europea si muova di concerto. Per essere chiari: io sono per trasformare tutto questo in un’Alleanza del Mediterraneo, che coinvolga anche la Russia e l’Africa. Aver lasciato da parte la Russia è un altro errore che paghiamo caro, ad esempio in Siria e nella politica energetica.
Tutti questi organismi mirano a un semplice vicinato con un’area di libero scambio o in prospettiva si punta a una vera e propria unione politica di tutta l’area mediterranea? Qual è l’orientamento attuale della Commissione Europea in proposito?
La posizione del ministro Bonino di cercare di frenare quelli che vogliono intervenire militarmente nella zona è condivisibile. L’attuale orientamento dell’Europa verso gli stati del Mediterraneo è da un lato dire che noi europei sosteniamo la democrazia e la società civile di questi paesi, dall’altro lato però è anche una politica bilaterale che ha sostituito la condizionalità degli aiuti in base al rispetto dei diritti umani con una nuova condizionalità che riguarda la politica economica e serve solo a rafforzare l’area di libero scambio. É insomma una posizione completamente neoliberista. Ma fare una comunità Euromediterranea sarebbe troppo complesso, ci vorrebbero valori comuni e anni e anni di negoziati. Per questo un’alleanza sarebbe secondo me più adatta allo scopo.
Come si legge in un comunicato stampa ufficiale della Commissione Europea, datato marzo 2013, nel commentare i risultati e i ritardi delle riforme democratiche nei paesi partner, l’Alta rappresentante dell’UE Catherine Ashton ha dichiarato: “L’Unione europea continuerà a fare il possibile per agevolare lo sviluppo di una democrazia a tutti gli effetti nei paesi partner. La politica europea di vicinato ha un ruolo fondamentale nel sostenere questo processo. I ritardi riscontrati in alcuni paesi partner sono certo fonte di preoccupazione, ma non devono essere considerati un pretesto per abbandonare la partita. Per l’UE la costruzione di democrazie sostenibili rimane una priorità assoluta”. Quali sono le metodologie che l’Europa attua per ottenere questo scopo e come si pone di fronte alle manifestazioni che caratterizzano la “primavera araba”?
L’UE ha messo in atto solo alcune misure, come gli aiuti, verso i paesi arabi. Quello che manca, anche qui, sono una visione complessiva del problema e una strategia d’insieme per risolverlo.
Nello stesso comunicato si legge fra l’altro: “la Siria rimane un caso molto specifico tra i paesi del vicinato. L’Unione europea ha sospeso tutte le attività di cooperazione bilaterale con il governo, ma mantiene l’impegno a favore dei cittadini. Ha intrapreso azioni diplomatiche per agevolare una soluzione pacifica del conflitto, sostenendo l’inviato speciale congiunto dell’ONU e della Lega degli Stati arabi, partecipando attivamente alle riunioni del gruppo Amici della Siria e fornendo aiuti ai rifugiati e ai paesi limitrofi coinvolti nella crisi”. Quale pensa possa essere la soluzione del conflitto siriano? E il ruolo dell’UE in tale soluzione?
La situazione siriana è oggi impossibile da risolvere a causa della posizione della Russia. L’Unione europea avrebbe dovuto coinvolgere la Russia molto prima nelle trattative. Ma come fa l’UE ad avere una strategia verso gli altri stati se non ha una strategia per sé stessa? Il bandolo della matassa sono anche qui gli Stati Uniti d’Europa. Altrimenti rimane tutto appannaggio degli U.s.a. e della Cina, che tanto per fare un esempio si è ormai impadronita dell’Africa.
Ritornando alla Siria, io sono molto pessimista. La soluzione militare, voluta anche dalla Francia, sarà fallimentare, vedi Iraq e Afghanistan. L’Unione Europea doveva intervenire subito a sostegno dei moti popolari, invece di permettere che prendessero il sopravvento i jihadisti. Ormai quella siriana è una situazione che si è avvitata su sé stessa e purtroppo, secondo me, andrà a finire come in Iraq e in Afghanistan con una lunga agonia.
E’ l’Egitto? Quale pensa possa essere l’evoluzione della situazione nel paese dopo il colpo di stato che ha portato alla destituzione di Morsi?
In questo momento è difficile fare previsioni, ma si può fare qualche considerazione. La società egiziana, come quella di molti altri paesi arabi, è divisa in due. La responsabilità principale di questa situazione è degli Stati Uniti e dell’appoggio incondizionato che, anche attraverso il Qatar, hanno assicurato ai partiti islamisti. L’Europa ha sostanzialmente seguito questa linea, nell’illusione che questi partiti una volta confrontati con le responsabilità di governo avrebbero accettato il gioco democratico, che diventassero delle “Democrazie cristiane” islamiche. La realtà, non solo in Egitto ma anche in Tunisia e nella stessa Turchia, ha dimostrato il contrario e questo sta suscitando la reazione di gran parte della popolazione. Non credo però che in Egitto ci siano le condizioni per una guerra civile come in Siria, anche per il ruolo dell’esercito che è completamente diverso.
Laura Gobbo