Dopo il parere della Commissione a ottobre, il Parlamento europeo discute in questi giorni le modifiche alla direttive in materia. Molte le divisioni, si rischia il nulla di fatto
Dopo avere impegnato per anni Ong, istituzioni pubbliche, think tank e cittadini, il dibattito sui biocarburanti è giunto ora a uno snodo cruciale. A Bruxelles è in discussione la modifica delle due direttive create nel 2009 per regolarne la produzione e il consumo: la direttiva sulle energie rinnovabili e quella sulla qualità dei biocarburanti. Il tema è fondamentale all’interno della strategia europea per la lotta ai cambiamenti climatici visto che l’Ue si è data l’ambizioso obiettivo di arrivare al 2020 avendo sostituito il 10% delle fonti fossili con rinnovabili nel settore dei trasporti (quello che produce ben il 22% di emissioni di gas a effetto serra globali).
Sull’obiettivo nessuna divisione, i problemi sorgono invece sul come raggiungerlo. Per tentare di portare a casa il risultato, si sta puntando soprattutto dall’uso di biocarburanti di prima generazione, quelli cioè realizzati a partire da prodotti alimentari: colza, olio di palma, soia, oleaginose (biodiesel), cereali, canna da zucchero, barbabietole da zucchero (etanolo). Ma sulla reale efficacia di questi prodotti le perplessità sono moltissime. Gli aspetti problematici sono soprattutto due.
Da un lato il conteggio delle reali emissioni di cui i biocarburanti sono responsabili. È ormai universalmente riconosciuto che non si può tenere conto solo delle emissioni direttamente associate alla loro produzione. Da considerare ci sono anche le emissioni indirette, legate al cambio di destinazione d’uso dei terreni (Indirect Land Use Change, il cosiddetto fattore Iluc). L’espansione della superficie coltivata a discapito di foreste e altri terreni ricchi di carbonio porta ad un effetto esattamente contrario a quello sperato: l’aumento di emissioni di gas a effetto serra. Secondo gli studi, allo stato attuale i biocarburanti sarebbero responsabili, entro al 2020, di emissioni equivalenti a quelle che si avrebbero mettendo sulle strade europee tra i 14 e i 29 milioni di auto in più.
Altro fattore che sta facendo discutere è quello sociale. La maggior parte della materia prima agricola utilizzata per produrre biocarburanti viene importata da Paesi extra-europei. Il vecchio continente non ha terreni sufficienti per rispondere alla domanda di biocarburanti: ipotizzando un limite al 5% a quelli di prima generazione occorrerebbero 21 milioni di ettari (più di due terzi dell’intera superficie italiana). Così la domanda di terreni, soprattutto in Paesi dell’Africa subsahariana, continua ad aumentare e si verificano veri fenomeni di Land Grabbing (accaparramenti di terra condotti in violazione dei diritti umani fondamentali delle persone che ci vivono e senza il loro consenso). Senza contare che la domanda di prodotti alimentari per produrre i biocarburanti sta provocando un consistente aumento dei prezzi.
Non c’è da meravigliarsi quindi se anche intorno all’iter legislativo delle norme che devono regolare questo settore le discussioni sono accese. Fino a qualche mese fa, la politica europea non era in discussione. Nell’ottobre 2012, però, la Commissione europea è intervenuta (su mandato della stessa direttiva sulle energie rinnovabili) per tentare di trovare una soluzione alla questione delle emissioni indirette. Tra i punti principali dell’esecutivo Ue, la proposta di porre un limite al 5% per l’utilizzo di biocarburanti di prima generazione, sull’obiettivo del 10%. In questo modo per la Commissione si darebbe una risposta al problema dell’aumento della domanda agricola per fini energetici in contrasto con le esigenze alimentari. Sulla questione Iluc, invece, la proposta della Commissione rifiuta di inserire il conteggio delle emissioni indirette nel calcolo delle soglie di risparmio definite dai criteri di sostenibilità, in quanto i metodi di calcolo non garantiscono ancora una quantificazione esatta: sufficiente invece un reporting annuale sul dato.
Una proposta che non soddisfa ambientalisti e associazioni umanitarie. “La proposta del limite al 5% – fa notare Roberto Sensi, Policy Officer di ActionAid – è un segnale positivo ma la soglia proposta è leggermente più alta della media attuale di sostituzione europea che si attesta attorno al 4,5%”. Porre questo tetto, cioè, significa “voler limitare un rischio futuro che in realtà è già presente”: in sostanza “nel breve periodo i Paesi europei potranno continuare ad utilizzare biocarburanti di prima generazione oltre il limite che deve essere garantito per il 2020”. Per quanto riguarda il non conteggio delle emissioni indirette, pur non esistendo ancora un metodo per calcolarle esattamente, “si dovrebbe adottare il principio di precauzione”, suggerisce Sensi. E cioè: fino a che non ci sarà una teoria scientifica esatta si può adottare il fattore Iluc perché “non conteggiandolo si assume che le emissioni indirette siano nulle e questo è sicuramente sbagliato”.
Un’altra tappa importante per la discussione delle direttive in materia (che dovrebbero approdare in Plenaria a settembre) si terrà a giorni, quando la Commissione ambiente del Parlamento europeo voterà la proposta dell’eurodeputata Corinne Lepage (Alde). Un testo, il suo, che punta a mediare tra la necessità di rendere sostenibile la produzione di biocombustibili e quella di non mettere a repentaglio gli investimenti già realizzati dalle imprese. La proposta di Lepage introduce Iluc nel conteggio delle emissioni e prevede un sub-target anche per le energie elettriche da fonti rinnovabili nel settore trasporti per incoraggiarne l’uso. Il voto in aula è fissato per l’11 luglio ma già si sa che difficilmente la proposta avrà vita semplice Se i socialisti appoggiano questa linea, c’è invece una forte opposizione soprattutto da parte dei deputati del Partito popolare europeo, che hanno presentato emendamenti che muterebbero radicalmente la linea della relatrice. “Si rischia una soluzione al ribasso” commenta Sensi: “Se passerà il compromesso proposto dal Ppe – spiega – equivarrà a non avere fatto niente perché non vengono toccati i principi strutturali”.
Un caso limite, ma che in linea teorica potrebbe verificarsi, è che dalla discussione la proposta esca tanto modificata da spingere Lepage a ritirare la firma. Anche in questo caso significherebbe bloccare tutto, avverte ActionAid: nel 2020 ci si troverebbe ancora a discutere su come affrontare un problema che per quella data doveva essere, se non risolto, almeno affrontato.
Lena Pavese