Davanti all’Aula di Strasburgo per parlare dell’eventuale violazione di diritti fondamentali in Ungheria, il premier attacca: contro di noi “criteri arbitrari” e “abuso di potere”
Chi sperava fosse venuto per difendersi o giustificarsi, avrà decisamente dovuto ricredersi. Il Viktor Orban che ieri pomeriggio sedeva tra i banchi del Parlamento europeo per partecipare al dibattito sulla risoluzione riguardante eventuali violazioni dei valori fondamentali dell’Ue in Ungheria, non sembra sfiorato dal minimo dubbio. Impassibile, quasi sorridente di fronte alla pioggia di obiezioni che gli arrivano dall’Aula, il premier gioca solo in attacco. “La relazione che avete davanti è una minaccia per l’Europa, non per l’Ungheria”, esordisce.
Al centro della movimentata discussione in Aula, il progetto di risoluzione della Commissione libertà civili (rapporto Tavers) in cui i deputati fanno una serie di raccomandazioni alle autorità ungheresi per rimediare a eventuali violazioni dei valori fondamentali dell’Unione. Il testo (che sarà votato stamattina) chiede, in caso non ne sia garantito il rispetto, di ricorrere all’articolo 7 del Trattato Ue, che permetterebbe al Consiglio dei ministri di stabilire se esiste un evidente rischio di violazione grave: percorso che potrebbe portare fino alla sospensione di alcuni diritti dello Stato membro, compreso quello di voto nel Consiglio europeo.
Ma Orban non sembra preoccupato di questo quanto del fatto che, facendo passare la linea della relazione, “gli Stati membri in futuro potrebbero finire sotto tutela”. Si tratta di “una tendenza molto pericolosa, state fissando nuovi criteri che sono arbitrari, senza alcun riscontro nei trattati”, ribalta la prospettiva, criticando l’idea che il Parlamento possa dettare alle autorità ungheresi le azioni da intraprendere. Poi la bordata: “Ho combattuto contro il regime comunista e non voglio più ripetere questa esperienza, non vogliamo più questo tipo di Europa dove i Paesi finiscono sotto tutela con una libertà ristretta, dove i più potenti possono abusare e solo i più piccoli devono avere rispetto dei grandi e non viceversa. Lotteremo contro tutti quelli che vogliono imporre una sorta di impero – propone il premier – non crediamo ci voglia un’Europa di sottomissione ma di libertà”.
Il paragone azzardato piace poco all’aula che rumoreggia. A ribellarsi è il verde Daniel Cohn-Bendit che si rivolge direttamente al Presidente Schulz: “Se in futuro qualcuno farà un paragone tra l’Ue e l’Unione sovietica bisogna dire che si va troppo in là” alza la voce, sostenuto dall’applauso di altri eurodeputati, “se qualcuno sostiene qualcosa del genere vuole dire che non sa dove siede”.
Ma le critiche sono tante. “Ha detto che deve difendere gli ungheresi. Ma da cosa?” chiede Hannes Swoboda (S&d): “Lei è un membro dell’Ue, l’Ungheria è un Paese membro dell’Ue e lei è qui per assicurare che ci sia lo stato di diritto”, ricorda. “Non ha il diritto di dire che stiamo agendo contro l’interesse dell’Ungheria” si scalda anche Guy Verhofstad (Alde): “E’ il contrario – assicura – è nostro interesse difendere i cittadini perché lei difende solo il suo interesse politico”. Anche Ulrike Lunacek (Greens) promette di non arrendersi ricordando: “Ci sono molti ungheresi che ci scrivono dicendo: per favore andate avanti, abbiamo bisogno di supporto dall’Unione europea!”.
Ma le accuse sembrano non sfiorare il premier ungherese che, dopo avere ascoltato, ironizza sulla “lezione democratica che gli è stata impartita” e conclude: “Non mi illudo circa l’esito delle votazioni di domani, so che in molti voteranno contro l’Ungheria” ma “chi vota a favore abusa del suo potere, è una relazione ingiusta e profondamente offensiva”.
Letizia Pascale