Lo Stato balcanico diventa oggi il ventottesimo membro della famiglia europea. Il traguardo è atteso da anni ma timori e difficoltà economiche raffreddano l’opinione pubblica
Il matrimonio è atteso da anni ma la festa sarà frugale e le difficoltà di una vita insieme cominceranno presto. Ad accompagnare lo storico ingresso di oggi della Croazia nell’Unione europea, tante incognite, una buona dose di indifferenza e parecchie preoccupazioni. Il momento in cui lo Stato balcanico diventa ufficialmente il 28esimo Paese membro non è certo dei più semplici. Nella famiglia che la accoglie la Croazia trova 9 Paesi in recessione e una moneta unica indebolita dalla crisi dell’Eurozona. In questo quadro, il Paese si appresta ad essere uno degli Stati più poveri: il suo Pil è del 39% sotto la media europea, davanti solo a Romania e Bulgaria. Ma Zagabria deve fare i conti anche con una recessione che dura ormai da cinque anni e con un tasso di disoccupazione che si aggira intorno al 20%. Senza contare quella giovanile arrivata addirittura al 51%, terza in Europa dopo Grecia e Spagna.
Bruxelles ha già dato segni di malumore notando, nel rapporto pubblicato lo scorso 29 maggio, che il debito pubblico croato è ora al 54% e nel 2014 potrebbe facilmente superare la soglia del 60%. Idem per il deficit, quest’anno al 4,7%: già al di sopra del limite fissato al 3%. Insomma ad accoglierla nella famiglia europea la Croazia potrebbe presto trovare l’apertura di una procedura di infrazione per deficit eccessivo.
Sarà forse anche per questo contesto economico se l’entusiasmo della popolazione non sembra accompagnare lo storico traguardo. Dopo la scarsa partecipazione al referendum sull’ingresso, anche alle prime elezioni europee l’affluenza è stata bassissima: circa il 20% degli aventi diritto. Persino la festa per l’ingresso ufficiale sarà in versione ridotta, con costi abbastanza contenuti (circa un milione di euro). “Faremo una festa emozionante ma modesta perché ce lo impone la situazione economica”, ha spiegato il presidente, Ivo Josipovic.
Se pure l’opinione pubblica rimane freddina, quello che sta per compiersi rimane un passo indiscutibilmente importante, soprattutto dal punto di vista simbolico. Per la Croazia, primo Paese ad entrare nell’Ue con un’esperienza di guerra recente alle spalle, rappresenta la conclusione del lungo processo di transizione dall’esperienza jugoslava e socialista e la compiuta stabilizzazione dopo il sanguinoso conflitto per l’indipendenza negli anni ‘90.
Il percorso per arrivare a questo punto è stato lungo. La Croazia ha presentato la domanda di adesione nel 2002, i negoziati si sono aperti nel 2005 e si sono conclusi nel 2011, con la firma del trattato di adesione. Nella prima fase, l’ostacolo maggiore alle trattative è stata la non soddisfacente cooperazione con il Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia, mentre negli ultimi anni Bruxelles ha insistito soprattutto sulla democratizzazione del quadro legislativo delle istituzioni, sulla lotta al crimine organizzato e alla corruzione.
Per l’Europa, in termini numerici, non cambierà molto. Gli oltre 4 milioni di croati rappresentano appena lo 0,85% dell’intera popolazione Ue, i 56.542 chilometri quadrati che occupa il paese sono l’1,33 per cento del territorio e il Pil di Zagabria è lo 0,53 % di quello dell’Unione. Ma ce n’è già abbastanza per preoccupare diversi Stati, spaventati da un possibile flusso migratorio di lavoratori croati che potranno lavorare senza particolari permessi. Per questo Regno Unito, Austria, Slovenia, Spagna, Belgio, Olanda e Germania hanno già annunciato che useranno il loro diritto ad una moratoria per limitarne, per due anni, l’ingresso.
Il problema se lo sta ponendo qualcuno anche in Italia, soprattutto nel vicino Veneto, soprattutto nella Lega. Il governatore Luca Zaia ha inviato una lettera al presidente del consiglio, Enrico Letta, per chiedere che venga adottato un regime transitorio per l’accesso al mercato del lavoro dei cittadini croati, così da evitare quelle che lui ritiene possano essere gravi ripercussioni sul mercato del lavoro. Dello stesso avviso l’europarlamentare della Lega Nord, Mara Bizzotto, che ha scritto una lettera al Ministro per gli Affari Europei, Enzo Moavero Milanesi. “I nostri territori, già provati da un elevato tasso di disoccupazione e da una carenza di posti di lavoro senza precedenti, rischierebbero di essere invasi da migliaia e migliaia di croati in cerca di un impiego”, lamenta Bizzotto. Altro rischio, sostiene, è che le aziende italiane decidano di spostare la propria produzione nel Paese balcanico dove “il costo del lavoro è la metà di quello italiano” e “il Governo ha già promesso tasse zero alle aziende che investiranno nei prossimi dieci anni almeno 3 milioni di euro”.
Letizia Pascale