Accordo questa mattina presto a Bruxelles sulle regole per gli interventi a favore degli istituti in crisi. Saccomanni: rotto il circolo vizioso debito-banche. Ora si passa alla (difficile) fase tre
Marco Zatterin su La Stampa/Straneuropa
Accordo a un quarto dalle due antimeridiane, annuncio venti minuti più tardi. I ministri economici dell’Ue hanno approvato la seconda fase dell’Unione bancaria, così avanza il progetto più concreto con cui Bruxelles ha deciso di reagire contro i rischi di una nuova tempesta finanziaria. Al secondo tentativo, dopo lo scacco della notte fra venerdì e sabato, si è trovato il consenso sulle regole flessibilizzate per i salvataggi degli istituti di credito in difficoltà e sul principio di fondo di risoluzione destinato a gestire le eventuali crisi. «Un buon compromesso – ha commentato il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni – contribuisce a spezzare il circolo vizioso fra il rischio sovrano e quello bancario».
Il primo stadio dell’Unione bancaria è in gran parte sistemato, prevede il graduale trasferimento della vigilanza bancaria alla Bce a partire dal 2014. Il secondo pacchetto di misure appena tenuto a battesimo deve entrare in vigore dal 2015 per essere a pieni poteri nel 2018. Il pacchetto, col terzo stadio difficilissimo che prevede uno schema di garanzia comune per i depositanti, è la risposta centrale dell’Ue alle bancarotte che, fra il 2008 e il 2011, sono costate 4,5 trilioni di aiuti statali autorizzati ai governi continentali; la somma pagata effettivamente è di 1,6 trilioni. La costruzione serve come mossa preventiva per rendere l’Eurozona più credibile e meno attaccabile, ma anche per disciplinare ogni intervento in caso di futura crisi ed evitare che paghino sempre i soliti noti.
Per divenire effettivo, l’accordo della notte – detto del “fallimento ordinato” – deve essere ancora approvato dal Parlamento europeo. Si spera in una finalizzazione entro fine anno, in modo da poter affrontare gli stadi ulteriori, a partire dalla definizione di una autorità centrale di risoluzione, ovvero un fondo che si occupi della gestione delle crisi. Controverso progetto, questo, perché comporterebbe l’uso di denaro pubblico europeo, cosa alla Germania non piace affatto.
Come funziona? A partire dal 2018, in caso di crisi bancaria, il regime di salvataggio (Bail-In) potrà costringere azionisti, obbligazionisti e parte dei correntisti a essere «scalpati» per partecipare alla ristrutturazione. I deposito sino a 100 mila euro saranno garantiti totalmente. E’ la formula usata per il crac delle banche di Cipro. Rivista e corretta.
L’intesa stabilisce che un minimo dell’8 per cento delle passività (liabilities, i denari che l’istituto in crisi deve ai suoi debitori, dagli azionisti agli individui) debba essere «scalpata» (il “bail in”) prima che i fondi di risoluzione possano essere attivati.
Si stabilisce inoltre che una ulteriore quota del 5 per cento possa essere coperta, previo accordo con Bruxelles, col fondo di risoluzione o altre dotazioni pubbliche. Questo garantisce un buon livello di flessibilità, cosa che Francia e Italia ma anche i britannici) hanno chiesto con insistenza, davanti alla Germania che invece voleva regole più rigide. E’ stato definito anche il principio di una possibile partecipazione agli interventi anche del fondo salvastati Esm. Potrebbe essere una mossa preziosa, alla bisogna.
Fra oggi e domani il vertice dei capi di stato e di governo dell’Ue metterà il suo sigillo all’Unione bancaria, con qualche soddisfazione, vista la rapidità relativa con cui si è arrivati all’obiettivo. Ora la Commissione presenterà la sua proposta per il fondo di risoluzione che affiancherà la Bce sul ponte di comando dall’Unione bancaria. Sarà una battaglia ancora più dura. In programma anche l’aumento delle dotazioni dei fondi di garanzia dei depositi e risoluzione nazionali sono all’1,3 per cento dei depositi. Dovrà essere fatta con una prelievo delle banche. Così, alla fine, a pagare sarà chi ha rotto il giocatolo. Sempre con la speranza che non succeda.