“Il benefico influsso dell’Unione nel processo di democratizzazione del paese si è indebolito”
Intervista al docente dell’Università “La Sapienza” sui rapporti possibili tra Europa e Ankara, in vista di un allargamento dell’Unione.
I violenti scontri di piazza di questi giorni in Turchia, con centinaia di manifestanti feriti e almeno tre morti per mano della polizia, hanno riportato alla ribalta il tema dell’adesione dello stato guidato da Recep Tayyip Erdogan, leader del Partito per la Giustizia e lo sviluppo Akp, all’Unione Europea. Le proteste per il paventato abbattimento di Gezi Park, al centro di Istambul, si sono ampliate fin da subito, comprendendo una serie di tematiche importanti per il futuro del paese quali la laicità dello stato, le politiche ambientali, la libertà d’informazione.
L’avvicinamento della Turchia all’UE risale già agli anni ’60 con l’Accordo di Ankara, tuttavia il suo cammino è sempre stato irto di difficoltà. Erdogan, nel corso degli anni in cui ha governato con il suo partito islamico-conservatore, ha per alcuni versi modernizzato lo stato turco, ma i cittadini che oggi scendono in piazza a migliaia vogliono che si faccia molto di più su questa strada. Solo per fare un esempio l’informazione proveniente dalle tv di stato di Istambul sta oscurando le manifestazioni ed è evidentemente pilotata dall’alto, mentre il governo minaccia censure e paletti anche sul web e sui social network.
Abbiamo chiesto a un esperto di società e politica turca, Antonello Biagini, Prorettore alla Cooperazione e ai Rapporti Internazionali dell’Università la Sapienza di Roma, docente di Storia dell’Europa Orientale e profondo conoscitore del paese, di spiegarci perché la Turchia dovrebbe entrare in Europa e quali sono i maggiori ostacoli sulla strada di questa integrazione. Il professore è reduce dal convegno internazionale “Quo vadis Turkey?”, da lui organizzato lo scorso aprile a Roma proprio su queste tematiche.
L’inizio dei negoziati per l’ingresso della Turchia in Europa nel 2005 ha riaperto il dibattito sull’opportunità di includere nell’UE uno stato musulmano estesissimo, anche se storicamente a vocazione laica. Lei è favorevole o contrario a questo ingresso e per quali motivi?
Innanzitutto va precisato che si tratta dei negoziati attuazione della decisione favorevole presa dal Parlamento Europeo nel 2004. L’opinione pubblica deve capire che non si sta discutendo se la Turchia deve o non deve entrare nell’UE: in linea di principio la questione è stata già decisa favorevolmente nel 2004.
In realtà tutti sapevano che nel caso della Turchia, e solo della Turchia, la decisione del Parlamento Europeo era solo l’inizio del processo. Io sono nel complesso favorevole. Aggiungo sempre che per certi aspetti alla Turchia è convenuto stare fuori dall’UE in questi anni. Ma è anche vero che ora il benefico influsso dell’UE nel processo di democratizzazione del paese si è affievolito.
Le manifestazioni in Turchia chiedono una maggiore apertura e laicità del paese. Quali pensa che possano essere le ripercussioni di queste rivolte sull’eventuale entrata della Turchia nell’UE e sugli orientamenti del governo Erdogan?
L’UE ha rimproverato il governo turco per l’uso decisamente eccessivo della forza da parte della polizia. Il rimprovero è giusto, ma è reso meno autorevole dall’atteggiamento a dir poco ondivago dell’Europa verso la Turchia, che in questi anni non si è sentita oggetto di un trattamento equo. Erdogan appare propenso alla linea dura contro coloro che vogliono ostacolare i suoi progetti, ma gli altri leader del suo partito non sembrano condividere il suo atteggiamento. C’è bisogno di un grande mediatore che permetta a tutte le parti di salvare la faccia e questo mediatore probabilmente sarà il presidente della repubblica Gul.
La Commissione Europea ha vincolato l’ingresso turco nell’Unione al rispetto dei diritti umani fondamentali, ad esempio verso le minoranze curda e armena. Quali progressi sono stati fatti in questo campo?
Nei dieci anni abbondanti di governo Akp la questione curda e quella armena sono state discusse e trattate con una franchezza e un impegno enormemente superiori al passato. Si deve sottolineare che il bilancio di questo decennio, non solo sull’economia ma anche e soprattutto sul tema dei diritti umani, è ancora largamente positivo, il che naturalmente non vuol dire che non ci siano ritardi e contraddizioni. Bisogna poi ben distinguere tra le due questioni che lei ha posto. Gli armeni nella Repubblica di Turchia sono stati sempre riconosciuti come minoranza e la loro specificità linguistica, religiosa e culturale non è stata mai messa in discussione. Il nocciolo del problema curdo invece è che, in quanto musulmani, i curdi non sono mai stato riconosciuti come minoranza e sono stati anche un tempo oggetto di un duro tentativo di assimilazione.
Nel rapporto della Commissione Indipendente dell’UE sulla Turchia del 2005 si legge fra l’altro: “Per l’Unione la posizione geopolitica della Turchia, unica nel suo genere, ai punti di incrocio dei Balcani, del Medio Oriente, del Caucaso meridionale, dell’Asia Centrale e anche oltre, la sua importanza per la sicurezza strategica dell’approvvigionamento energetico dell’Europa e il suo peso politico, economico e militare rappresenterebbero dei vantaggi di grande importanza. Inoltre, come grande Paese musulmano saldamente ancorato all’Unione Europea, la Turchia potrebbe svolgere un ruolo significativo nei rapporti dell’Europa con il mondo islamico”. Lei concorda con quest’analisi e perché?
Perché è sostanzialmente giusta, anche guardando al caso contrario: una Turchia forte, ma isolata e delusa, non è certo quel che l’Europa si può augurare.
I commentatori contrari all’adesione turca all’UE paventano un incontrollabile aumento della popolazione migrante con il flusso di cittadini turchi che si verrebbe a creare verso l’Europa e un eccessivo aumento del peso della religione musulmana all’interno delle istituzioni europee (la Turchia, a causa delle sue estese dimensioni, diverrebbe uno degli stati membri con il maggior numero di rappresentanti a Bruxelles). Cosa risponde a queste due obiezioni?
Rispondo che già parecchi ragazzi italiani stanno cercando di trovare lavoro in Turchia. Scherzando, potrei dire che è la Turchia che deve iniziare a preoccuparsi di un eccessivo flusso di immigrati!
Per quanto riguarda l’eventuale presenza di rappresentanti di religione musulmana nelle istituzioni europee, esse sono laiche e quindi non c’è un ruolo istituzionale di nessuna religione. Naturalmente l’ispirazione religiosa ha una rilevanza pubblica, ma nessuno nell’Europa comunitaria può pensare di imporre qualcosa in nome della propria religione. Talvolta in ambienti islamici affiora la proposta di considerare l’ostilità verso l’islam una forma di incitamento all’odio e/o di discriminazione passibile di sanzione. Questo tipo di proposte comportano il pericolo di allargare a dismisura l’area del politicamente corretto e di restringere la libertà d’espressione, però anche da altri gruppi di popolazione arrivano proposte simili. In conclusione, sicuramente ci sono molte sfide culturali da affrontare e da vincere. Quella di un’Europa con significativa presenza islamica è una di queste.
Un’altra obiezione che viene spesso rivolta all’entrata della Turchia in Europa è la questione di Cipro e della sua divisione in uno stato turco del Nord e uno europeo del Sud. Questa questione non è ancora risolta. Pensa che si possa arrivare ad un accordo su Cipro prima della fine dei negoziati della Turchia con l’Europa?
Sotto molti aspetti la strada da Ankara a Bruxelles passa per Nicosia. Sulla questione di Cipro l’UE si è comportata in modo assai criticabile. La parte greca e la parte turca hanno negoziato per anni e, sotto l’altissimo avallo dell’ONU, hanno firmato l’accordo per la riunificazione (piano Annan). Questo accordo è stato sottoposto a referendum. Nel frattempo l’UE ha deciso di accogliere la Cipro del Sud (ossia l’unico governo riconosciuto, quello greco), senza porre come condizione l’accettazione del piano Annan. A questo punto molti leader e partiti greco-ciprioti hanno esortato la popolazione a votare no al referendum. Infatti la maggioranza dei turco-ciprioti ha votato sì ma la maggioranza dei greco-ciprioti ha votato no. La parte che ha votato no è entrata con tutti gli onori nell’UE, quella che ha votato sì è tuttora sottoposta a embargo.
Infine, che impressione ha tratto della popolazione turca nel suo insieme durante i suoi viaggi?
L’impressione che in generale ho tratto è stata innanzitutto di grande gentilezza e ospitalità, che è sempre la cosa che colpisce chi si avvicina alla Turchia. E’ una popolazione giovane e anche culturalmente in grande crescita: in questo decennio il numero delle università è più che raddoppiato! C’è una Turchia del tutto uguale a noi come stile di vita, e c’è una Turchia che magari ne ha uno diverso dal nostro, ma è favorevole alla società aperta e plurale, per certi versi anche più dell’altra. Certo, ci sono anche settori fondamentalisti e ultranazionalisti, esistono settori estremisti come in tanti paesi. Ma la grande parte della Turchia vuole benessere e tranquillità. E ama l’Europa e noi italiani.
Laura Gobbo