Da Bruxelles Coldiretti mette in guardia: in tempo di crisi sempre più famiglie costrette a scegliere alimenti economici ma scadenti. Otto prodotti rischiosi su 10 vengono da fuori Ue. Addirittura il caglio per la mozzarella una volta su quattro proviene dai Paesi dell’Est
Una tanica di mosto concentrato, qualche polverina miracolosa, una bella etichetta da apporre sulla bottiglia e il Barolo è fatto. Oppure il Chianti, il Verdicchio, il Lambrusco: non c’è che l’imbarazzo della scelta, con il giusto kit si può ottenere qualsiasi vino italiano. Naturalmente low cost. Un’attrattiva non da poco in un periodo in cui le famiglie italiane cercano di tagliare su tutto, alimentazione inclusa: nel 2012 i consumi per cibi e bevande sono scesi e non di poco: rispetto al 2008 siamo al -6,3%. Le uniche vendite che aumentano sono quelle dei discount alimentari, che hanno registrato un incremento del 2%. I prodotti a basso costo, infatti, piacciono alla maggioranza delle famiglie: ben sei su dieci hanno tagliato quantità e qualità degli alimenti, rivolgendosi verso prodotti con prezzi bassi. Spesso troppo bassi per non nascondere qualcosa, visto che solo nel 2013, in Italia, sono aumentati del 26% anche gli allarmi alimentari.
A mettere in guardia contro il fenomeno è Coldiretti che oggi ha presentato a Bruxelles il primo dossier sui rischi provenienti dai moltissimi prodotti alimentari low cost. Quello del vino, infatti, non è che un esempio: gli alimenti a basso costo potenzialmente dannosi, a cui fare attenzione, sono ovunque. E in moltissimi casi (ben l’80%) gli allarmi alimentari sono provocati da prodotti che arrivano da Paesi esterni all’Unione europea. Negli snack low cost, ad esempio, è facile trovare la presenza di nocciole e pistacchi della Turchia, spesso contaminati per la presenza di muffe e aflatossine. E poi ci sono le importazioni sempre più massicce dalla Cina (+38% nel 2012) di miele naturale che, mette in guardia Coldiretti, rischia di essere contaminato dalla presenza di organismi geneticamente modificati non autorizzati nel vecchio continente. Un problema simile a quello che esiste anche per il riso in arrivo dall’oriente. Guardando poi al rapporto annuale dell’Efsa (Agenzia europea per la sicurezza alimentare) sui residui di pesticidi negli alimenti, non c’è da stare tranquilli nemmeno riguardo al pepe indiano (irregolare nel 59% dei casi), ai pomodori cinesi (irregolari per il 41%), le arance egiziane (26% di irregolarità), l’aglio argentino o le pere slovene (25%). Attenzione anche al succo d’arancia: la maggior parte di quello consumato in Europa, spiega Coldiretti, arriva dal Brasile sotto forma di concentrato a cui viene aggiunta acqua nello stabilimento di produzione. Proprio l’anno scorso, però, il concentrato in arrivo dal Brasile è stato vietato negli Stati Uniti perché sugli agrumi erano presenti residui di antiparassitari vietati, in America ma anche in Europa.
Il rischio legato alla presenza di residui di pesticidi negli alimenti cala moltissimo rivolgendosi al Made in Italy. Sempre secondo l’Efsa, appena lo 0,3% di campioni di prodotti italiani è risultato contaminato da residui chimici oltre i limiti di legge. La percentuale sale all’1,5% per i prodotti comunitari e al 7,9% per i paesi extra Ue: un livello 26 volte superiore a quello della produzione alimentare italiana che, evidenzia Coldiretti, sotto questo punto di vista, è la più sicura a livello planetario. Ciò nonostante continuiamo ad importare dall’estero circa il 25% del nostro fabbisogno alimentare, con tutti i rischi che ne conseguono. C’è ad esempio il capitolo olio extravergine: in quattro bottiglie su cinque in vendita in Italia è praticamente illeggibile la provenienza delle olive impiegate, obbligatoria per legge. Non si salva nemmeno il pane: accanto a quello artigianale, sempre più spesso, c’è quello realizzato con i milioni di chilogrammi di impasti semicotti e surgelati in arrivo dall’est europeo.
Per i prodotti Made in Italy, poi, c’è tutto il capitolo imitazioni. Prodotti tipici come il Parmigiano Reggiano o il Grana Padano continuano a subire la concorrenza sleale di brutte copie in arrivo dall’estero a prezzi accattivanti: le importazioni italiane di formaggi non Dop sono aumentate dell’88% in dieci anni. Problema simile per i prosciutti (quattro su cinque tra quelli venduti in Italia provengono da maiali allevati in altri Paesi europei, senza che questo venga chiaramente indicato in etichetta) e per le mozzarelle (una su quattro è realizzata a partire non da latte ma da cagliate straniere, spesso dall’est europeo).
I pericoli, insomma, possono nascondersi davvero ovunque. Per evitarli, molto può fare il senso critico dello stesso consumatore. “Verificare sempre gli ingredienti e la provenienza in etichetta, preferire l’acquisto di prodotti freschi o comunque poco elaborati e che non devono subire lunghi trasporti, diffidare dei prodotti che costano troppo poco, come certi extravergini che non coprono neanche il costo della raccolta” sono alcuni dei suggerimenti del Presidente di Coldiretti, Sergio Marini.
Ma non si può lasciare la sicurezza alimentare solo all’attenzione del singolo. Così da Bruxelles, Marini lancia un appello proprio alle istituzioni comunitarie: “Occorre investire sull’agricoltura europea” chiede, specificando: “Non si può pensare – dice riferendosi alla Pac – come inizialmente aveva fatto la Commissione, solo ad un contributo per ettaro, bisogna controllare meglio quali aziende si sostengono”. Per il presidente di Coldiretti con la politica agricola comune, “unica politica veramente integrata dell’Unione europea” occorre “premiare che lavora e vive di agricoltura, chi produce in modo sostenibile, chi produce cibo”.
Letizia Pascale
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