Dal 2003 hanno provocato 10mila morti l’anno. Commissaria Georgieva: “Il mondo è più fragile”
Per Gabrielli il problema della Protezione civile italiana è nella “comunicazione del rischio”
Se nessuno è immune allora tutti abbiamo bisogno degli altri. Di fronte alle catastrofi naturali tutti i Paesi ritornano uguali: possono essere più o meno preparati, certo. Ma ad accomunarli c’è la consapevolezza che “la portata del disastro può essere tale da mettere in ginocchio anche il Paese più attrezzato”. L’unica risposta allora diventa l’azione coordinata. Una risposta che da oggi l’Unione europea proverà a dare più efficacemente grazie ad un nuovo centro di coordinamento degli interventi in caso di disastri, in Europa e nel mondo.
Un vero cuore operativo di risposta all’emergenza, attivo sette giorni su sette e 24 ore su 24. Potrà affrontare tre emergenze in contemporanea in diverse aree del Pianeta, riceverà le richieste di aiuto dai Paesi colpiti, farà da nodo di coordinamento con Commissione Ue, Stati membri, partner umanitari e squadre di protezione civile sul territorio. Potrà anche dispiegare, con un breve preavviso, mezzi aerei specializzati, attrezzature e squadre di salvataggio.“Con lo sfortunato aumento della frequenza e della complessità dei disastri, gli Stati membri hanno bisogno di cooperare ancora più a stretto contatto” spiega il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Barroso, e il nuovo centro consentirà loro “di farlo nelle circostanze più estreme”, in una modo più efficace.
“Tempo e coordinamento sono una parte essenziale dell’azione salva-vita” anche secondo il commissario Ue agli aiuti umanitari, Kristalina Georgieva che, nel corso del Civil Protection Forum, sottolinea come il mondo di oggi sia “più ricco ma più fragile: ogni volta che succede qualcosa ci sono danni sempre maggiori”, fa notare. In effetti negli ultimi dieci anni, fa i conti la Commissaria, 10 mila persone l’anno sono morte per disastri naturali. Il disastro più grave è uno di quelli forse apparentemente più innocui: le ondate di calore in estate. Fanno sempre più vittime e sono sempre più frequenti, “il 2011 è stato l’anno più nero”, evidenzia Georgieva. In Europa non è però questo il fenomeno che provoca il numero più alto di vittime: “qui il 50% dei danni viene dalle inondazioni”.
I fenomeni sono bene o male conosciuti. E, per quanto spesso non sia possibile prevenire, come nel caso dei terremoti, bisogna per lo meno provare a giocare d’anticipo. “La cosa più importante è essere sempre più preparati e fare sempre più prevenzione”, sottolinea la responsabile Ue per la protezione civile. “Dobbiamo chiederci quali catastrofi possono verificarsi e cosa farà scattare il meccanismo della protezione civile”. Detto con una battuta: “l’intervento d’emergenza, tra le fiamme, con gli aerei, è sexy”, sorride Georgieva, “ma dobbiamo rendere più sexy anche la prevenzione e la preparazione”.
Con l’inaugurazione del centro “gli Stati membri dell’Unione Europea avranno uno strumento in più per dare risposte efficaci a tutti i cittadini che dovessero trovarsi in difficoltà”, commenta anche
Elisabetta Gardini, relatrice in Parlamento del progetto per la creazione di una forza europea di protezione civile, progetto verso cui il centro rappresenta “un primo importante passo”. Perché la forza di protezione civile comunitaria diventi realtà, dopo l’approvazione a larga maggioranza dalla Commissione parlamentare competente, occorre però anche il via libera del Consiglio: “Spero che giunga presto ad una posizione condivisa per dare un riscontro all’azione del Parlamento”, commenta Gardini. “Voglio pensare che nessuno voglia aspettare che ci sia un’altra vittima per andare a soccorrere quella vittima”, aggiunge: “Non posso pensare che per piccoli problemi di budget si faccia meno di quello che si può fare”.
Questo il lavoro da fare a livello europeo. Ma anche nel nostro Paese i grattacapi non mancano. Secondo il capo della Protezione Civile italiana, Franco Gabrielli, un grosso lavoro va fatto sulla “comunicazione del rischio”. Impossibile, a questo proposito, non pensare ai sette membri della Grandi Rischi condannati dalla Corte di Giustizia italiana, ricorda Gabrielli alla platea europea del Civil Protection Forum, “per non avere posto in essere comportamenti che consentissero alla popolazione di avere corretta percezione del rischio”. Un dibattito tuttora aperto, una linea di giudizio che costituisce un “grosso problema per la serenità della scienza e dei valutatori nel dare un contributo alla protezione civile in un contesto previsionale”.
Comunicare il rischio, secondo Gabrielli, è il vero tema da affrontare, a fronte anche della struttura del sistema italiano. “Nel nostro Paese dal 2001 – spiega – la protezione civile è materia concorrente: lo Stato centrale detta le linee guida ma la legislazione di dettaglio la fanno le singole regioni”. La conseguenza è che “abbiamo 21 sistemi di comunicazione del territorio”. In sostanza se un cittadino “risale la penisola da Reggio Calabria avrà informazioni diverse sullo stesso rischio a seconda della regione che attraversa”. Ci siamo resi conto, ammette il capo della Protezione civile, che “questo sistema non va. Stiamo cercando di raggiungere un’armonizzazione perché una comunicazione trasparente e comprensibile dei rischi è uno dei fondamenti di un coerente sistema di protezione civile”.
A Bruxelles in realtà su questo tema c’è ancora molto da chiarire. Georgieva ha spinto molto per avere il controllo sull’intervento umanitario, tagliando di fatto fuori il Servizio esterno di Catherine Ashton, che ha nominato proprio un italiano, Agostino Miozzo (rumorosamente assente all’evento di ieri) all’incarico di “Managing Director for Crisis Response and Operational Coordination in the European External Action Service”. Probabilmente un po’ di coordinamento non farebbe male, anche perché i mezzi di intervento, usati dentro o fuori,sono sempre quelli. D’altra parte la scelta di Ashton di scegliere un uomo come Miozzo, che viene dalla Protezione civile (italiana) a fare gestione delle crisi ha lasciato perplessa la Commissione sul senso vero dell’operazione.
Letizia Pascale