Bruxelles – Carlo Casini è un vecchio animale politico, ne ha viste tante, è in Parlamento (italiano, poi europeo e italiano, poi di nuovo italiano ed ora nuovamente europeo) dal 1979. In questa legislatura (eletto nell’Udc) è presidente della commissione per gli Affari Costituzionali, quella che fu di Giorgio Napolitano. Se dice che “non c’è nei Trattati nessuna norma che impedisca che il presidente della Commissione europea e quello del Consiglio europeo siano la stessa persona”, oltre che affermare una verità esprime anche un programma politico. Che si può realizzare, e che si può realizzare con la semplice volontà politica di farlo, senza complicate modifiche ai Trattati europei, senza far rivotare Parlamenti e cittadini.
Bisogna però arrivarci per gradi, e il primo passo è già stato scritto: l’elezione diretta del presidente della Commissione europea il prossimo anno, approfittando del rinnovo del Parlamento, in primavera, e della Commissione, in autunno. Si tratta di avviare una vera rivoluzione, perché il centro di questo progetto è cambiare il titolare di un potere non secondario nell’Unione europea spostandolo dai Governi direttamente nelle mani dei cittadini. Il presidente della Commissione è il “guardiano dei Trattati”, è colui che è motore propulsivo e poi coordinatore della realizzazione delle politiche europee, è quello che ha il potere di iniziativa legislativa. Privare i governi del potere di sceglierlo e passarlo nelle mani, neanche del Parlamento, ma direttamente dei cittadini è davvero rivoluzionario. Così l’Unione europea assomiglierebbe meno ad un organismo sovranazionale e più a un governo direttamente controllato dagli elettori.
Ci si avvicina ad un doppio passaggio istituzionale (elezioni del Parlamento tra il 22 ed il 25 maggio e nuova Commissione) che sarà comunque un bel grattacapo per l’Italia, che avrà in quel fatidico secondo semestre 2014 la presidenza di turno dell’Ue. Il trattato di Lisbona, quello sul quale si basa l’attuale assetto dell’Unione, prevede che il Parlamento approvi la proposta di presidente della Commissione fatta dal Consiglio, e senza il voto favorevole dei deputati nessun presidente viene nominato e nessun commissario si insedia. Il Parlamento, con un atto politico, ha deciso di rovesciare questo ordine, imponendo al Consiglio, cioè ai governi, una scelta fatta dagli elettori e poi sancita dai deputati. E’ una scelta sancita da una risoluzione (messa a punto dalla commissione di Casini) approvata a larghissima maggioranza il 22 novembre 2012, passata però quasi sotto silenzio. Il Parlamento, dice il testo, “esorta i partiti politici europei a nominare candidati alla presidenza della Commissione e si aspetta che tali candidati svolgano un ruolo guida nell’ambito della campagna elettorale parlamentare, in particolare presentando personalmente il loro programma in tutti gli Stati membri dell’Unione”. Il testo, semplice ed esplicito, sottolinea poi “l’importanza di rafforzare la legittimità politica sia del Parlamento che della Commissione instaurando un collegamento più diretto tra le rispettive elezioni e la scelta dei votanti”. Sulla stessa linea anche l’esecutivo comunitario. La commissaria alla Giustizia Viviane Reding, dopo che la volontà dei deputati è stata chiara, ha presentato nel marzo scorso una raccomandazione al Parlamento che va in questo senso: “I partiti politici – sostiene la lussemburghese a nome di tutto il collegio – devono far sapere chi sostengono tra i candidati”. Anche Josè Manuel Barroso aveva più volte sostenuto questa posizione in discorsi ufficiali, candidando poi se stesso ad un terzo mandato.
“Finalmente si farà una campagna elettorale europea, su un programma politico europeo vero, e non su questioni nazionali o locali. Sarebbe, finalmente, una vera politicizzazione dell’Unione”, si augura Gianni Pittella, Pd, primo vicepresidente del Parlamento europeo (cioè il più votato tra i quattordici che sono). Pier Luigi Bersani, ex segretario del suo partito la pensa allo stesso modo: “La sfida per tutta l’area progressista è vincere… alle elezioni europee del 2014 alle quali il campo progressista si deve presentare con una piattaforma unica e un candidato unico alla presidenza della Commissione europea”, disse Bersani dopo un incontro con il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz a Roma l’otto novembre del 2012. Un’affermazione che sanciva anche che il politico tedesco “è il candidato migliore”. La linea, con Guglielmo Epifani, non dovrebbe cambiare. Se poi a ottobre segretario dovesse diventare Pittella, che si è ufficialmente candidato, allora la questione sarebbe ancor più chiara. Hannes Swoboda, austriaco presidente del gruppo dei Socialisti e democratici, non può che concordare, “ovviamente sostengo Schulz, ma non c’è ancora una decisione formale”, dice, sottolineando il valore centrale di questa decisione: “Sarà una doppia campagna elettorale, per il Parlamento e per la Commissione. E’ un modo per dare più potere ai cittadini. E’ un nuovo concetto di Europa con un candidato che ha una dimensione, una storia, e un ruolo europeo, non è più un ex presidente del consiglio, che viene dal suo paese e pochi conoscono”. L’altra vice predente italiana è la popolare Roberta Angelilli, “mi piacerebbe che i cittadini potessero eleggere anche il presidente della Commissione – dice -. L’80% della legislazione nazionale dipende da Parlamento europeo e Commissione”.
Casini, autorevole esponente dei popolari, la principale famiglia politica nel parlamento Europeo, è sulla stessa linea. Si è buttato a corpo morto sul questa scelta con un discorso tenuto nell’ottobre del 2012 a Cipro, partendo dalla base ideale che “l’Europa appartiene ai popoli. Con l’elezione ‘diretta’ del presidente della Commissione so cosa voto e contribuisco a scegliere chi guiderà”. Si porterebbe l’Europa nei paesi davvero, “si costringerà a parlare di Unione europea durante le campagne elettorali per l’Europarlamento”, insiste Casini. I popolari, però, non hanno ancora un candidato, come confermava poco prima di lasciare Strasburgo e diventare ministro della Difesa, un altro autorevole esponente del gruppo, Mario Mauro, per anni capogruppo del Pdl prima di passare con Mario Monti, “ancora non ci sono nomi”, dice. Altri però di nomi ne fanno e i più ricorrenti sono quelli di un commissario europeo in carica, il francese Michel Barnier, scelto da Nicolas Sarkozy per gestire il Mercato unico, poi c’è un premier, il polacco Donald Tusk, ma c’è anche Herman van Rompuy, che fra due anni scadrà dall’attuale mandato ed pronto a passare da un lato all’altro di rue de la Loi, il viale di Bruxelles dove sul lato a Nord c’è la Commissione e su quello Sud il suo ufficio di presidente del Consiglio europeo. Casini un’idea sua ce l’ha: confermata, diplomaticamente, la “grande stima” per il popolare Josè Manuel Barroso, attuale presidente della Commissione, e reso omaggio al leader del suo schieramento in Italia Monti, che “ha doti straordinarie e gode di larga stima”, svela che il suo candidato è il laburista britannico Tony Blair. L’ex premier “è un moderato, poi abbiamo il problema del Regno unito… penso sarebbe un buon nome”. Il compromesso. Perché Casini sa, come sanno tutti, che il nome dovrà essere frutto di un compromesso in Parlamento.
I socialisti hanno il loro candidato, i popolari, nonostante l’auto candidatura di Barroso, ancora lo cercano, e “anche noi sceglieremo al più presto il nostro candidato, certamente entro il 2013”, spiega la presidente dei verdi europei Monica Frassoni. Lei preferirebbe un candidato verde, ma “puntiamo anche a trovare una convergenza con altri partiti progressisti, e se poi troviamo un dialogo su un candidato unico possiamo anche ritirare il nostro. Certo, se invece l’intesa si trovasse sul nome di un verde saremmo ancora più contenti, ovviamente”. Se tutti partissero, già da prima con un unico candidato ecco che sarebbe fatta.
Uno dei creatori della mozione è il liberale britannico Andrew Duff: “Insisteremo che il candidato faccia campagna durante le elezioni e diventi membro del Parlamento”, spiega, rivendicando che la risoluzione di novembre è stata sostenuta dal Gruppo Spinelli, da lui presieduto e del quale fa parte anche Monti, tra l’altro. “Credo fortemente che la connessione tra presidenza della Commissione e campagna elettorale, elettrizzerà quest’ultima e fornirà per la prima volta un elemento di scelta dei cittadini tra personalità, partiti e programmi in competizione. Sarà uno scontro mediatico e la dimensione europea delle difficili scelte che l’Ue affronta sarà davvero davanti a tutti per la prima volta”. Il Consiglio, sostiene Duff “non ha scelta, è il Parlamento che decide chi diventa o meno presidente della Commissione”. E nessuno, sussurra alla fine, “sarà eletto senza il sostegno di una maggioranza trasversale”. I liberali non hanno un candidato ufficiale ancora, ma la scelta “personale” di Duff probabilmente combacia con quella di molti nel partito (ed anche fuori): Guy Verhofstadt, per nove anni premier del Belgio, schieratissimo europeista ed ora rispettato presidente degli europarlamentari liberali.
“La personalizzazione della campagna elettorale è il primo gradino, quel che serve è un vero programma europeo”, dice Rebecca Harms, co-presidente del gruppo dei Verdi. “L’elettorato deve capire – sostiene- che la maggior parte dei partiti sono pro europei, questo sì, ma questo non vuol dire che si è d’accordo su ogni cosa, ci sono diverse scelte possibili”. La tedesca è però meno tranquilla del britannico sulla posizione del Consiglio europeo, “certo – dice – sarà più difficile per i capi di Stato e di governo far ciò che vogliono, prescindendo dal ruolo del Parlamento, ma questa scelta dipende anche dagli equilibri negli Stati”. I governi potrebbero fare pressioni, come spesso accade, sui loro parlamentari nazionali, e questo potrebbe far saltare la scelta diretta effettuata dai cittadini. L’indicazione del candidato presidente della Commissione avrebbe solo un valore politico, forte, ma non in se vincolante. E bisogna che i partiti, una volta visto l’esito delle elezioni, siano coerenti e convergano sul candidato vincente, quello la cui coalizione ha avuto più voti, altrimenti, se si tornasse a mediare tra deputati, ecco che la scelta diretta non ci sarebbe più.
Lorenzo Robustelli