Dall’inviato
Come l’Ong ActionAid anche la Commissione europea scommette sul Ghana e in particolare sulla campagna contro la fame, una lotta che sembra, sul terreno, essere stata impostata molto bene e con grandi risultati. “We won’t accept hunger: mobilizing Europeans on MDG 1 and the right to Food” è il nome della campagna (la sigla sta per Obiettivo di Sviluppo del Millennio Numero 1, cioè dimezzare la povertà entro il 2015) che da Bruxelles si è deciso di finanziare, per “far crescere la consapevolezza nei cittadini europei”.
Questo incontro tra Ong e istituzioni ha portato ad un primo viaggio di giornalisti italiani in Ghana, sette giorni di full immersion per scoprire come si aiuta a crescere un paese ancora vittima della fame, dello sfruttamento, della tratta di persone. Quel che è evidente, da subito, è il nuovo ruolo delle donne, promosso dalle autorità, dalle associazioni, ma richiesto con forza anche da loro, anche da quelle che non sanno ancora scrivere ma che sono entrate nella logica democratica della partecipazione.
Il viaggio comincia da un programma di ActionAid: la lotta contro la condanna per stregoneria. Nel villaggio di Gnani si realizza un progetto di successo, una campagna a difesa di quelle donne che vengono definite “streghe” in base a credenze popolari ataviche, che sempre più però appaiono legarsi a interessi economici, che sulla tradizione basano solo il pretesto per emarginare le donne, e anche qualche uomo. Ci sono sei campi “ghetto” sparsi nel Nord-Est del Ghana dove quasi 600 donne e una manciata di “stregoni” sono stati confinati dai loro parenti con l’accusa di aver fatto e voler provocare ancora il male. C’è un processo anche, un rito antico e tremendo: la donna accusata di stregoneria viene forzata ad andare in un villaggio di “streghe” e lì un “santone” uccide un gallo e lo lascia cadere a terra, se la testa guarda in su la donna è condannata, altrimenti è salva. Ma è una salvezza che in tante oramai rifiutano. Fanli è lì da una quindicina di anni e il “processo” la trovò innocente, “ma io non sono voluta tornare – spiega – ed ho preferito restare qui”. Il rapporto con la sua comunità si era rotto e lei, armi e (pochi) bagagli, si è trasferita con le altre condannate, che vivono con una manciata di ragazzini e ragazzine mandati dai villaggi per aiutarle nella vita quotidiana. Altri piccoli condannati a vita. Con se Fanli ha portato il suo piccolo commercio di legna per il fuoco. Waapo anche lei è risultata innocente, ma non è voluta tornare indietro “quelli mi accuserebbero di ogni cosa che va storta”.
Perché le “streghe” spesso non sono altro che donne che hanno conquistato una propria indipendenza ed un minuscolo potere economico. E questo non va ai maschi, questo rompe equilibri e sistemi di potere vecchi di secoli. Alle volte è vero anche il contrario: son donne che restano sole, senza reddito e possono essere un problema per la comunità. Dunque alla prima morte adatta di qualcuno la “strega” è accusata di esserne la causa. Spesso si tratta di cognati o mariti. Ma il paese cresce, ActionAid ed altre associazioni specializzate come la Croce rossa (che opera le donne malate di cataratta, accusate di essere streghe perché “si sono mangiate gli occhi”) aiutano queste persone, e il fenomeno pian piano sparirà.
Erano circa 2.800 le streghe censite solo cinque anni fa, ora sono 567, e l’Ong è riuscita lo scorso anno a farne riaccettare dalla comunità di provenienza 36. Non è facile come potrebbe sembrare però. Anche persone mediamente istruite (per i nostri canoni, ma di istruzione elevatissima per il metro ghanese) credono ancora alla stregoneria: “Si io ci credo, come tutti, anche se solo qui nel Nord, la zona più povera del paese, esiste questo fenomeno dell’isolamento”, spiega Francis, contabile locale di ActionAid. Per fortuna però “il governo è contro questa pratica – spiega Esther, responsabile dei programmi nella Ong – e noi lavoriamo insieme”. Poi conferma che “le donne accusate spesso sono quelle che escono dagli schemi tradizionali. E inoltre ci sono le vedove povere, delle quali nessuno vuole farsi carico”. E la sintesi del lavoro di Esther è quella che abbiamo trovato come filo rosso di questo viaggio: “Noi lavoriamo principalmente sui diritti delle donne, ad ogni livello”.
1/Segue domani