Associazioni, giornalisti e deputati vogliono poter controllare i Centri di detenzioni per migranti
Ad appoggiare questa battaglia c’è anche il neo ministro dell’Integrazione Cécile Kyenge
I migranti rinchiusi nei Centri di identificazione ed espulsione presenti nell’Unione europea sono migliaia. Nell’Ue e alle sue frontiere meridionali e orientali il numero dei Cie è cresciuto negli ultimi anni passando da 324 nel 1999 a 473 nel 2011 (guarda la mappa). La capacità conosciuta di questi centri è di circa 37mila posti. Ma si tratta di cifre approssimative visto che la quantità di persone detenute è superiore alla capacità teorica di accoglienza. In queste strutture è vietato l’accesso, se non in circostanze eccezionali, a giornalisti e associazioni mentre è permesso solo a parlamentari. E questo nonostante la direttiva “Rimpatri” della stessa Ue preveda che «i pertinenti e competenti organismi ed organizzazioni nazionali, internazionali e non governativi hanno la possibilità di accedere ai centri di permanenza temporanea». Per questo nell’ottobre del 2011 è partita la campagna «Open Access Now» lanciata da Migreurop e Alternative europee, una campagna che ora, con il patrocinio delle eurodeputate Hélène Flautre dei Greens e Marie-Christine Vergiat della Gue/Ngl è arrivata anche al Paramento di Bruxelles. Grazie al loro appoggio e a quello di altri parlamentari europei e nazionali nei prossimi mesi verranno effettuate varie visite in diversi luoghi di detenzione per compilare un inventario delle condizioni di vita all’interno di questi centri, condizioni che restano troppo spesso opache.
«La nostra principale richiesta è che venga concesso il diritto di accesso della società civile ai luoghi di detenzione per permetterle di svolgere un ruolo di allerta» spiega Alessandra Capodanno di Migreurope. «Chiediamo il rispetto del diritto all’informazione come prescritto dalla carta dei diritti universale, ma anche il diritto delle persone detenute di comunicare all’esterno. E non solo con i deputati, noi vogliamo una vigilanza dei cittadini». Ai parlamentari è concesso infatti entrare nei Cie ma solo dietro un preavviso e soltanto in determinati centri. «Questo non basta, in Francia mi hanno permesso di entrare solo in quello che viene considerato un centro di eccellenza e dopo ampio preavviso. In questo modo è facile preparare la struttura e farla apparire meglio di quello che è normalmente. Con visite a sorpresa invece sarebbe possibile valutare quali sono le reali condizioni in cui vengono tenuti i migranti» afferma la deputata francese Vergiat.
Le denunce di violazioni dei diritti umani sono molteplici e tantissimi gli atti di autolesionismo. I periodi di fermo variano da Stato a Stato, in Spagna ad esempio si va dai 40 ai 60 giorni, mentre in Italia da 2 a 18 mesi. Ma in un sistema così difficile da controllare i casi limite non sono rari. «Un cittadino Ivoriano è rimasto in un Cie per 4 anni prima di essere rilasciato» denuncia Alexis Deswaef, presidente dell’Ong belga Lega dei diritti dell’uomo, che ha aderito a Open Access.
In Italia la campagna “Lasciateci entrare” è stata lanciata quando nell’aprile 2011 l’allora ministro dell’Interno, Roberto Maroni, bloccò l’accesso nei centri ala stampa anche se accompagnata da parlamentari, un divieto poi sospeso quando al leghista è succeduta Anna Maria Cancellieri. «Il problema però resta perché che il potere discrezionale delle prefetture è totale, la maggior parte delle volte alle nostre richieste ci viene risposto che entrare nel Cie è impossibile a causa di non meglio specificati “lavori in corso”» dichiara Flore Murard-Yovanovitch, una delle giornaliste che hanno aderito alla campagna in Italia. «Noi chiediamo al Ministero di darci tutti i documenti i contratti per vigilare sulle condizioni delle persone che si trovano nei Cie, ora prevale l’opacità totale» continua la giornalista.
Tra le attiviste che hanno aderito alla campagna nel nostro Paese c’è anche Cecile Kyenge Kashetu, appena nominata ministro dell’Integrazione del governo Letta. La sua, in quanto attivista della Rete primo marzo, è una delle testimonianze raccolte nel video di Open Access now, dove Kyenge denuncia: «Ci sono 13 centri di detenzione in Italia, ci sono spesso violazioni dei diritti umani, della libertà personale e ci sono anche violazioni per quanto riguarda la tutela giuridica, perché la maggior parte delle persone viene incarcerata senza avere diritto a un processo». Ora la sua voce arriverà all’interno delle stanze del potere, chissà se verrà ascoltata.
Alfonso Bianchi
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Guarda il video della campagna Open access now