Uno spettro si aggira per il mondo moderno: la fine del potere, almeno come l’abbiamo conosciuto finora. Stati, organizzazioni internazionali, grandi imprese, eserciti, tutti gli strumenti tradizionali di esercizio del potere oggi subiscono gli attacchi di quelli che il politologo Moises Naim nel suo saggio “The end of power” definisce micropoteri. Un fenomeno che possiamo osservare soprattutto in campo militare, nelle recenti campagne irachene e afgane, nel ricatto dello psicopatico nordcoreano al mondo civilizzato, negli stalli delle rivoluzioni arabe, fino agli attentati di Boston e alla sparatoria davanti a Montecitorio, perpetrati da individui isolati, minuscole volontà fuori da ogni controllo che sono capaci di un impatto pesantissimo sul nostro modo di vita. Non dimentichiamo che anche dietro gli attacchi dell’11 settembre non si celava un’organizzazione strutturata come a tanti è piaciuto farci credere, ma piccoli nuclei di un movimento polverizzato. Gruppuscoli, singoli individui, hacker, minuscoli partiti politici, attivisti solitari, effimeri movimenti accesi su Facebook a colpi di clic sono i nuovi sabotatori del potere che approfittano delle debolezze dei grandi sistemi per azzopparli, ma senza nessuna strategia se non quella di mordersi via un pezzo di ingerenza. L’efficacia disgregante dei micropoteri è visibile anche nel mondo della politica, ad esempio in Italia dove un movimento sorto su internet ha paralizzato per settimane il processo democratico e non ha ancora esaurito la sua forza di frantumazione.
Ma anche in altri paesi a cominciare dagli Stati Uniti dove l’eterno braccio di ferro fra senato repubblicano e congresso democratico lascia spazio a nuove forme di influenza atomizzata, dove lo stato sovrano cade in declino e molto pericolosamente anche il tradizionale equilibrio internazionale. In questo panorama è significativo che gli ideologi dei social network dichiarino apertamente il loro obiettivo di voler diventare leader globali in competizione con gli stati. Stati volatili, con tutta la leggerezza del potere virtuale e nessuna delle pesantezze del potere formale, piegabili e sgonfiabili ma anche dilatabili a cause planetarie, a spinte di massa verso ogni dove che però sono impossibili da governare. Come sostiene Moses Maim, il potere del futuro sarà sempre più facile da frantumare e sempre più difficile da consolidare. E sempre più labile sarà la frontiera fra quella che oggi si chiama democrazia dal basso e invece appare sempre più come una subdola forma di ingerenza animata dalla sola volontà di distruggere.
Diego Marani