C’è della gente, ha il pallino di viaggiare.
Passa tutta la vita a fare dei viaggi intercontinentali avventurosi, ha sempre un sacco di cose belle da raccontare.
Come quella volta sul confine tra il Burundi e il Congo, che due poliziotti burundesi fatti e strafatti e con tanto di kalashnikov, sono saltati dentro la macchina affittata da questa mia amica, e hanno detto all’autista di portarli fino al primo posto di blocco; questa mia amica e l’autista convennero che in effetti portarli al primo posto di blocco andava benissimo, anzi sarebbe stato un vero piacere, addirittura c’avevano già anche pensato, che quasi quasi una capatina al primo posto di blocco la si poteva anche fare.
In fin dei conti era una così bella giornata…
Oppure quell’altra volta là a New York, quando quel mio amico fotografo ha finito la serata con una festa notturna su una piccola nave, e questa bionda mai vista prima, siccome l’Italia aveva appena vinto i mondiali, lo aveva portato sul tetto della piccola nave e gli aveva dato un bacio sulla bocca, che poi non era esattamente sulla bocca, ma lasciamo perdere.
Poi uno dice, gli italiani sono crisi. Dipende dai settori.
O ancora, quelli che tornano dal Giappone, che la prima cosa che raccontano è sempre quella del braccio meccanico che esce dal WC quando hai finito, che la prima volta non ti fidi molto, poi va a finire che in pochi giorni non vedi l’ora di tornare in hotel dal tuo braccio meccanico.
Quella però era bella sentirla le prime due tre volte, adesso anche basta.
Comunque, io invece il pallino di viaggiare non ce l’ho, ma due settimane fa sono stato qualche giorno in Spagna.
Appena atterrato a Malaga, erano le 23,30, faccio per uscire dall’aeroporto, vedo un tipo in divisa a uno sportello, un poliziotto credo, una guardia, un finanziere, qualcosa di simile, e allora vado a chiedere delle informazioni.
La prima cosa che gli chiedo è se parla inglese, la risposta è no.
La seconda è se parla italiano, la risposta è no.
La terza se parla francese, la risposta è no.
Allora poi faccio un misto di italiano, inglese, francese, spagnolo, gli chiedo la quarta cosa, che poi era quella che mi interessava, gli chiedo da dove partono gli autobus per il centro città.
E il poliziotto, la guardia, il finanziere, quel che è, mi dice che a quest’ora gli autobus non ci sono più, che è tardi, di non andare fino in piazza a cercarli che non trovo nulla, piuttosto, appena esco dall’aeroporto vado a destra, c’è pieno di taxi per il centro città.
Allora io esco guardo a destra, c’è pieno di taxi, guardo davanti, c’è pieno di gente in piazza, vado in piazza, c’è pieno di autobus per il centro città.
Allora poi pago il biglietto, salgo sull’autobus, chiedo informazioni all’autista.
La prima cosa che gli chiedo è se parla inglese, la risposta è no.
La seconda è se parla italiano, la risposta è no.
La terza se parla francese, la risposta è no.
Allora poi faccio un misto di italiano, inglese, francese, spagnolo, gli chiedo la quarta cosa, che poi era quella che mi interessava, gli chiedo dov’è che devo scendere per la stazione centrale.
E lui mi dice che me ne accorgerò io stesso, qual è la fermata della stazione centrale, perché quando sei in stazione si capisce, che quella è una stazione.
Adesso, la Spagna è bella e tutto quanto.
Ma per me questa gita in Spagna è stata un po’ come quando torno in Italia.
Dopo un po’ mi ci abituo, però i primi dieci minuti, voglia scusarmi l’editore, a me mi girano i coglioni.
Ru Catania