In linea di massima, non sarebbe mia intenzione utilizzare questo spazio per pavoneggiarmi e pubblicizzare eventi che mi riguardano, ma per questa volta farò un’eccezione.
Venerdì prossimo, 19 aprile, ci sarà al VK di Bruxelles il concerto degli Africa Unite.
Non sarà un concerto normale, sarà un concerto particolare.
Particolare per me, per il gruppo e per il pubblico.
Vediamo se riesco a spiegarvi un po’ come stanno le cose senza farvi venire il mal di testa.
Gli Africa Unite nascono come reggae band a Pinerolo nei primi anni ’80.
A un certo punto entra nella squadra un chitarrista, tale Max Casacci, che lascerà poi la band nel 1995 per fondare i Subsonica, lasciando onore e onere delle sei corde al sottoscritto, io me medesimo Ru Catania, che resterò nei ranghi fino a un paio di anni fa per poi partire per il Belgio col fagotto attaccato al bastone, come già aveva fatto mio nonno da Pachino al Venezuela, ma questa è un’altra storia.
Perché questo concerto è particolare per me?
Tra il 1991 e il 1995 ho visto una valanga di concerti degli Africa, li ho seguiti ovunque, frantumando, voglia scusarmi l’editore, frantumando i testicoli a chi poteva scarrozzarmi con la macchina e ospitarmi di qua e di là per vedere l’ennesimo loro spettacolo, a decine, centinaia, talvolta migliaia di chilometri di distanza da casa.
Tra il 1996 e il 2011 invece sono stato sul palco con loro, e cosa volete che vi dica?
Nulla. Non qua, non ora.
L’unica cosa che posso dire, l’amplesso è durato 15 anni, ovvero poco meno della metà della mia vita.
E venerdì prossimo, proprio come nel 1993, rivedrò gli Africa da sotto il palco.
Portatevi dei fazzolettini di carta insomma, qualcuno vicino a voi immerso nella dancehall potrebbe chiederveli.
Perché questo concerto è particolare per il gruppo?
Semplicemente perché in questi trent’anni al gruppo è successo di tutto. Gente è andata, gente è venuta, alcuni non si sono più parlati, sono nati progetti paralleli che hanno portato e tolto linfa contemporaneamente, ci sono state divergenze di opinioni, di stile, e anche botte da orbi nei camerini.
E questo sarà un flashback.
Stessa formazione del 1993.
Stesso album, Babilonia e Poesia.
Stesso concerto, oggi come allora.
La reunion di un gruppo mai sciolto.
Perché questo concerto è particolare per il pubblico?
Se nel 1993 e dintorni siete capitati a qualche loro concerto, questo vuol dire due cose.
La prima è che siete vecchi, o perlomeno non siete più giovani, fatevene una ragione.
La seconda è che sapete di cosa sto parlando.
Io credo che si possa riassumere così.
Ogni gruppo musicale ha un suo momento di massima potenza espressiva.
Ed è un momento. Poi uno può continuare a fare dei dischi belli, anzi, magari anche più belli. Può diventare più famoso. Più saggio, fare delle cose migliori. Ma questo non c’entra, o meglio, c’entra ma non è solo questo.
Col momento di massima potenza espressiva c’entrano anche fattori esterni. Il momento storico, la politica, la vita sociale, il fermento culturale, la vita notturna, la geografia, le persone di cui ci si innamora, le malattie, le guerre, le rivoluzioni sessuali, le cadute dei muri di Berlino e i carri armati nelle piazze.
Babilonia e Poesia e il successivo Un sole che Brucia, sia gli album che i tour, sono stati questo. Erano musica, ma erano anche tutto il resto.
Erano i concerti gratis alla Pellerina, i centri sociali, il riappropriarsi dell’italiano, dei dialetti, dell’inglese, di tutte le lingue del mondo, era confrontarsi in tour con l’Europa intera, era suonare reggae e ascoltare hardcore, avere i dreadlocks e indossare magliette dei Negazione e pantaloncini degli Urban Dance Squad, era essere una scena unica col ragamuffin salentino e col rap bolognese, era battersi con lungimiranza contro quelle facce e fecce della politica che ci hanno portato in vent’anni alla rovina economica e culturale, e che oggi sono ancora ai loro posti, stessi nomi e stessi cognomi.
Se c’eravate, sapete di cosa sto parlando.
Se non c’eravate, motivo in più per esserci questa volta.
Ru Catania