Rapporto della Commissione su relazioni industriali: riforme anti-crisi senza concertazione
Il nostro è l’unico Paese in cui le iscrizioni alle organizzazioni dei lavoratori sono aumentate
L’Italia è il paese con il maggior numero di organizzazioni sindacali in Europa, e uno dei pochi Stati membri ad aver visto crescere l’iscrizione alle associazione di tutela dei lavoratori negli anni della crisi. Lo rileva il rapporto 2012 sulle relazioni industriali in Europa della Commissione europea, diffuso oggi a Bruxelles. Il documento mette in mostra una generale sfiducia nelle organizzazioni sindacali: in quasi tutti i paesi, Germania inclusa, il numero delle iscrizioni è diminuito costantemente dal 2000 al 2008, mentre l’Italia si è contraddistinta per l’inversione di tendenza. Un dato, questo, che potrebbe incidere sul futuro economico del nostro paese, dato che un investitore straniero potrebbe essere scoraggiato a venire in Italia per via del clima di rivendicazioni più caldo d’Europa.
I numeri parlano chiaro: nel nostro paese si contano oltre cinquanta organizzazioni sindacali solo nel settore pubblico (56), più del doppio di quante se ne hanno in Danimarca (25), secondo paese dell’Ue per numero di sindacati nello stesso settore. L’Italia è, per dirla in termini tecnici, il paese con il più alto tasso di frammentazione sindacale d’Europa. Un modo di essere che si rispecchia nella densità sindacale, la percentuale dei lavoratori iscritti ai sindacati. Se in Europa è diminuita dal 5% in otto anni (dal 28% del 2000 al 23% del 2008), in Italia è cresciuta. “Al momento – precisa il rapporto – non è possibile valutare l’impatto della crisi sull’iscrizione ai sindacati e sul tasso di densità sindacale”. Questo perchè i dati per il 2009 e il 2010 sono disponibili “solo per un numero limitato di paesi”. Ad ogni modo il tasso di densità sindacale “nei due anni di crisi è aumentato in paesi come Svezia, Finlandia o Italia, mentre è diminuito in paesi quali la Germania, l’Austria e il Portogallo”. Addirittura l’Italia sembra ispirarsi sempre più al modello scandinavo, fatto di un tasso “medio-alto” di rappresentazione sindacale, un quota di impiegati nel settore pubblico superiore a quella del settore privato, e un’alta presenza femminile nei posti di lavoro e una vasta gamma di contratti collettivi. Sebbene l’Italia sia classificata tra i paesi del sud – caratterizzati da scarsa presenza femminile, minor numero di impiegati statali rispetto a quello dei privati, una media rappresentazione sindacale e poco spazio per le contrattazioni collettive – “l’Italia negli anni recenti si è spostata verso il modello nordico”.
A livello più generale c’è un dato che viene messo in evidenza più di altri. Non c’è solo il calo di fiducia dei lavoratori nelle organizzazioni nate per tutelarli, ma sparisce la concertazione. La crisi del debito sovrano e le politiche di rigore imposte come soluzione alla stessa crisi, “stanno producendo cambiamenti fondamentali nelle relazioni industriali in Europa”, avverte la Commissione Ue. In particolare, i governi per attuare le riforme strutturali richiesta a livello comunitario “spesso hanno escluso la concertazione”. Per cui oggi c’è un numero “limitato” di paesi dove la ristrutturazione del settore pubblico avviene cercando l’efficienza e la limitazione del conflitto attraverso accordi con i sindacati, ma c’è un numero più ampio di paesi – quelli sotto programma o chiamati a rispondere a raccomandazioni specifiche – dove “le condizioni sono necessariamente più severe di quelle prese dai privati durante la recessione del 2008-2010”. In sostanza, “le riforme non sempre sono state accompagnate da una piena ed effettiva concertazione”.
Renato Giannetti