La direttiva contro le discriminazioni razziali esiste, ma per i nomadi Bruxelles non la utilizza
Tre commissari dicono: “La loro inclusione non sarebbe un costo, ma un investimento sociale”
Sono 12 milioni in tutto il continente, di cui 6 nella sola Unione europea. Eppure i rom, come denuncia Amnesty International, “sono la più grande minoranza all’interno dell’Ue e, al contempo, quella sistematicamente più discriminata”. L’8 aprile è la Giornata internazionale dedicata a loro e ai Sinti, un’occasione per celebrarne la cultura e denunciarne le persecuzioni.
Spesso vivono ai margini della società, abitano in insediamenti precari, privati dell’accesso a servizi igienico-sanitari di base, elettricità o acqua corrente. Discriminati sin dall’infanzia, in certi Paesi non gli è garantita nemmeno un’istruzione “normale”. Come in Ungheria, a gennaio condannata da una sentenza della Corte europea per aver violato la Convenzione comunitaria sui diritti umani. Budapest aveva obbligato dei ragazzi, solo perché rom, a frequentare scuole speciali, per alunni con “disabilità mentale”. Per non parlare delle difficoltà nell’accesso al mercato del lavoro per i giovani nomadi i quali, senza un impiego, hanno grosse difficoltà a trovare un alloggio, ad avere cure adeguate o a garantire un’istruzione ai propri figli.
I dati sulla salute, pubblicati dalla Commissione europea, parlano chiaro: per i rom l’aspettativa di vita è di 10 anni più bassa rispetto alla media Ue, mentre la mortalità infantile è “sensibilmente più alta”. Secondo gli studi del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite in Bulgaria, Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca, il tasso di mortalità infantile dei Rom è dalle 2 alle 6 volte più alto rispetto alla media a dell’Ue a 27. A questa preoccupante situazione si aggiungono gli atti di violenza da parte dei cittadini: frequenti sono stati gli attacchi nei campi di nazioni come la Slovacchia, la Repubblica Ceca e la Bulgaria dove, solo negli ultimi cinque anni, ci sono stati oltre un centinaio di feriti e decine di morti. “Questo stato di cose è il risultato di diffuse e spesso sistematiche violazioni dei diritti umani” denuncia Amnesty.
Eppure una norma comunitaria, volta a garantire la tutela delle minoranze, già esiste: è la Direttiva europea per l’uguaglianza razziale, adottata nel 2000, che vieta la discriminazione su base etnica o razziale sui luoghi di lavoro, nell’educazione, nell’accesso ai beni e ai servizi, all’alloggio e alle cure mediche. Per questo l’appello di Amnesty si rivogle alla Commissione europea, la quale, in quanto organo esecutivo di Bruxelles, detiene il potere necessario per imporre agli Stati membri di rispettare le norme. Da quando la direttiva è stata adottata tutte le volte che la discriminazione riguardava cittadini rom, l’Ue non ha portato avanti nessuna procedura di infrazione.
Le occasioni non sono mancate, nemmeno in Italia, se si pensa agli sgomberi forzati dei campi avvenuti a Roma a seguito del “piano nomadi del 2009”, che hanno determinato la violazione di diritti fondamentali, come quello ad un alloggio adeguato, fino all’ultimo caso di uno sgombero di un campo alla periferie di Ris Orangis, in Francia, dove il 3 aprile sono state cacciate 230 persone, dandogli solo 24 ore di preavviso e nessun alloggio alternativo. Come ricordato da Stefan Rostas, Presidente dell’agenzia europea per i rom, “gli strumenti europei per la lotta contro la discriminazione esistono, – oltre alla Direttiva del 2000, – il Consiglio dell’Ue ha adottato il Quadro europeo per la strategia nazionale di integrazione dei rom, approvato nel 2011”, che sollecita gli Stati membri all’elaborazione di strategie nazionali di inclusione o all’adozione di misure di intervento volte a migliorarne le condizioni di vita.
E secondo un comunicato congiunto pubblicato dai commissari per giustizia Viviane Reding, per gli affari sociali Laszlo Andor e per la politica regionale Johannes Hahn, c’è più di un motivo, anche economico, per proteggere i nomadi. Scrivono i tre: “L’integrazione dei Rom ha senso: ricerche della Banca Mondiale mostrano che una loro totale integrazione varrebbe circa un miliardo di euro all’anno per le economie di alcuni Paesi – la loro inclusione non sarebbe un costo, ma un investimento sociale”.
Camilla Tagino
Per saperne di più:
– La petizione di Amnesty International