Sarebbe perfino troppo facile seppellire il comico tedesco Harald Schmidt che proclama l’italiano lingua dei poveri sotto una montagna di luoghi comuni sulle opportunità d’uso della sua lingua. Del resto già il concetto di comico tedesco è difficilmente traducibile nell’immaginario collettivo di mezzo mondo. È però rincuorante scoprire che anche i tedeschi ridono, segno che il Papa ha visto giusto: c’è del buono nella creazione e il mondo sta indiscutibilmente andando verso il meglio. Adesso bisognerebbe insegnare ai tedeschi anche il buon gusto nell’esercizio dell’ironia. Eppure l’ironia è una categoria di pensiero che non è passata inosservata alla grande filosofia tedesca, la più attenta e solida erede di quella greca. Ma chissà quanta ne ha letta Harald.
Quanto alla lingua, sicuramente il guitto d’oltralpe era più a suo agio con l’italiano da Sturmtruppen di Papa Ratzinger, dove ogni benedizione sembrava un rastrellamento. Chissà, magari è proprio questo che Papa Bergoglio ha voluto farci dimenticare. Una parte dell’impopolarità di Benedetto XVI forse era dovuta proprio alla lingua, a quel suo spigoloso accento che noi italiani inesorabilmente associamo a diverse decine di film sul nazismo e, in chiave più amena, all’indimenticabile professor Krantz di Paolo Villaggio. Per fortuna che è soprattutto questa l’immagine consolidata del tedesco in Italia. Sul fondo della questione, a Harald Schmidt bisogna però dare ragione: assieme al greco, oggi le lingue neolatine sono tutte lingue di straccioni. La civiltà sembra andare a rovescio e i grandi dell’antichità oggi chiedono l’elemosina. È quindi comprensibile che un Papa privilegi le lingue dei poveri nelle sue benedizioni. Ma le lingue hanno forze sotterranee che nessuno controlla.
È successo che la lingua di tanti disperati messicani, per la sola forza della loro ignoranza, è diventata la seconda lingua dei potentissimi Stati Uniti. Chissà che anche l’italiano, tanto trascurato e derelitto, non trovi anche lui una volta o l’altra passaggi segreti per imporsi. In fondo una strada c’è già, e Papa Francesco la indica: come si dice da sempre, l’italiano è l’inglese dei preti. Investiamo dunque in preti per difendere la nostra lingua. All’estero chiudiamo gli istituti di cultura e apriamo seminari. Di ogni lingua, come di ogni popolo, si capisce molto con poco. Io la prima parola che ho imparato di tedesco è delle più inusuali: Ich wiederhole, che vuol dire “ripeto”. Era l’incessante cantilena dell’altoparlante sulla spiaggia della mia infanzia che annunciava il ritrovamento di qualche bambino tedesco smarrito. Non capivo nulla di tedesco, ma questa parola a forza di sentirla, mi si è stampata nel cervello. Una ripetizione che mi ha sempre dato da pensare. Anche perché l’analogo e molto più raro annuncio in italiano non comprendeva mai un “ripeto”. Erano dunque i genitori tedeschi che non andavano a ritirare il bambino smarrito oppure c’erano tanti bambini tedeschi che si smarrivano? Un dubbio cui non ho mai trovato risposta ma che ha compromesso per sempre la mia visione dei tedeschi. Harald, eri tu quello che nessuno andava a riprendere al bar della spiaggia? È per questo che l’italiano ti fa tanta paura?
Diego Marani