Melchiorri (Sapienza): “E’ ancora tutto da esplorare e forse non è nemmeno l’unico”
Un viaggio nello spazio profondo, a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra
Presentati a Roma i risultati degli studi condotti col telescopio a bordo del satellite Planck, giunto nello spazio profondo a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra. Misurando con grandissima precisione le radiazioni cosmiche il satellite, creato dall’Agenzia Spaziale Europea con la collaborazione di numerose università fra cui la Sapienza di Roma, ha prodotto una serie di mappe dello spazio profondo e la più dettagliata carta esistente dell’universo ai tempi del Big Bang.
Planck ha potuto misurare le microonde provenienti dal cosmo in 9 frequenze diverse contemporaneamente e con una nitidezza mai vista prima. Questo ha permesso di separare con grande precisione le onde provenienti dalla nostra galassia da quelle emesse dall’universo primordiale in tempi antichissimi.
Il risultato di tali osservazioni sono una serie di nuove mappe del Sistema Solare, della Via Lattea e dello spazio intergalattico. Ma la ricostruzione più importante prodotta da Planck è quella della radiazione prodotta durante i primi istanti dopo il Big Bang, che rappresenta una conferma di questa teoria e permette di stabilire la conformazione e la composizione de nostro universo su larga scala.
“E’ un po’ come analizzare le acque alla foce di un grande fiume, e farlo talmente bene da poter risalire precisamente ai contributi di ciascuno dei suoi affluenti. – spiega il professor Paolo De Bernardis, responsabile della attività del satellite per la Sapienza. – Le nuove mappe permettono di stabilire per la prima volta esattamente quanta radiazione proviene dalla nostra galassia, quanta dall’universo extragalattico, quanta dall’ universo primordiale”.
E non è tutto: attraverso la raccolta e la catalogazione delle radiazioni cosmiche si sono potute osservare per la prima volta galassie lontanissime dalla nostra e mai studiate in passato. “Avendo a disposizione dati multifrequenza – aggiunge la professoressa Silvia Masi del Dipartimento di Fisica dell’università romana – è stato possibile studiare la materia calda presente nelle varie galassie e i filamenti che collegano tra loro gli ammassi di galassie. Con questo metodo si possono osservare gli ammassi ed i superammassi di galassie più lontani e più grandi, e Planck ha prodotto un catalogo di più di 1200 ammassi distribuiti su tutto il cielo: in un certo senso l’ossatura dell’intero universo”.
L’Italia è in prima linea nel settore della ricerca spaziale attraverso i satelliti di nuova generazione: l’Agenzia Spaziale Italiana sta infatti realizzando Olimpo, un telescopio con pallone stratosferico che sarà il successore di Planck, osservando il cielo in oltre 30 bande spettrali di emissioni simultaneamente. Chissà quali scoperte ci attendono.
Intanto le osservazioni del satellite europeo non hanno solo confermato le teorie esistenti; hanno posto anche nuovi interrogativi. L’universo primordiale ha infatti generato con i suoi gas una serie di macchie più calde o più fredde in alcune zone dello spazio conosciuto. “La mappa di Planck è così precisa – dice Francesco Piacentini, anche lui del Dipartimento di Fisica della Sapienza – che si può finalmente confermare sia la natura statistica di queste macchie, sia la presenza di due anomalie: una macchia fredda di dimensioni troppo grandi e una certa differenza tra le macchie di due emisferi contrapposti. L’interpretazione di queste anomalie rappresenta una nuova sfida per la cosmologia”.
Da un lato quindi gli scienziati hanno avuto dal satellite dell’Esa una convincente conferma del modello cosmologico del Big Bang, seguito da una fase di inflazione cosmica e da una di espansione accelerata. Dall’altro lato si sono ritrovati con una serie di nuovi interrogativi sulla natura dello spazio profondo. “Proprio per la precisione senza precedenti di Planck, c’era da aspettarsi che nascessero nuove domande – spiega Alessandro Melchiorri, ricercatore in Fisica alla Sapienza – Forse l’universo non è così semplice da poter essere descritto da sei soli numeri, i cosiddetti parametri cosmologici. Forse dovremo modificare la nostra teoria”.
Bisogna anche considerare che ci vorrà ancora molto tempo per studiare a fondo la moltitudine di dati prodotti dal nuovo satellite. Quelle illustrate a Roma sono solo le prime conclusioni degli scienziati coinvolti nel progetto. “In oltre 2000 pagine abbiamo presentato una quantità di risultati impressionante: alcuni attesi, altri completamente nuovi. – prosegue Melchiorri. – La cosmologia si conferma ancora una volta come uno dei settori più fertili e vivi delle scienze fisiche. C’è ancora tutto un Universo da scoprire, – aggiunge il ricercatore, e poi conclude – e forse non è nemmeno l’ unico!”
Laura Gobbo
Per saperne di più:
– Il sito dell’European Space Agency