Il povero Battiato denuncia la tendenza a prostituirsi di tanti nostri deputati e viene subito messo al muro. Donne di ogni parte politica insorgono contro l’infamante epiteto di troie che il musicista usa per definire chi si dà per denaro. Ma nessuna delle insorte si è presa la briga di ascoltare quello che Battiato ha davvero detto. Tutte parlano per sentito dire, reagendo a quell’unica parola che viola il dogma del politicamente corretto. Tutte e tutti teatralmente usano lo spunto delle troie per dire altro, per giocare una parte, per attaccare avversari politici, per strappare qualche minuto di audience, in definitiva per farsi vedere. La barzelletta dice che il primo ad essere frainteso parlando di troie fu Enea. Nella strenua difesa delle Porte Scee davanti alle orde degli Achei dilaganti pare che il suo “Avanti, figli di Troia!” abbia suscitato poco slancio e anche qualche malumore. Così non gli restò che prendersi in groppa Anchise e andare a fondare Roma, ancora oggi ahimè prigioniera delle sue più antiche origini.
Più ancora delle troie, questo dei figli di Troia è un trauma rimosso della società italiana che immancabilmente torna a galla e che un giorno o l’altro dovremmo affrontare seriamente. Sarebbe improponibile una terapia psicanalitica di massa per sciogliere il nodo dei figli di Troia che siamo, ma un primo passo potrebbe essere quello di riportare tutto a quello che è: una questione di lingua. È perché la donna è sempre stata preda e schiava che la prostituzione è sempre stata femminile. Battiato ha sicuramente sbagliato il luogo e il registro ma è comprensibile che per alludere a gente che si vende indegnamente abbia voluto usare la parole forte della troia. Ma siano rassicurate le deputate della Repubblica: loro al massimo sono troiane. Battiato intendeva altro. E tutte le persone ragionevoli lo hanno capito.
Diego Marani